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Circolare 1 del 3 gennaio 1985
RAMO SANITARIO N. 20
Oggetto:
Legge 12 giugno 1984, n. 222. "Revisione dell' invalidità pensionabile". Profili medico - legali.
La legge 12 giugno 1984, n. 222 (1), realizza la tutela previdenziale
dell' invalidita' mediante due prestazioni principali ed una complementare -
rispettivamente l' assegno ordinario di invalidita' (art. 1), la pensione di
inabilita' (art. 2) e l'assegno mensile per assistenza personale e
continuativa (art. 5) - regolando ex novo l' intera materia della validita'
pensionabile dove, antecedentemente, si prevedeva unicamente la pensione di
invalidita'.
Restano comunque fermi i principi informatori della tutela previdenziale
secondo i quali l' intervento protettivo dell' assicurazione obbligatoria
contro l' invalidita' non e' finalizzato ad indennizzare un danno all'
integrita' fisica dell' assicurato, ne' a riparare alla pura perdita della
retribuzione normalmente percepita, bensi' a sostituire un guadagno che il
lavoratore, a causa dell' alterato stato di salute, non e' piu' in grado di
conseguire con le sue forze. Ne deriva che l' invalidita' che qui interessa
non e' definibile come la conseguenza esclusiva di menomazioni dell'
integrita' e psico fisica ma e' piuttosto una invalidita' "convenzionale" che
si concretizza, quando lo scadimento del potenziale produttivo individuale
raggiunge un determinato grado.
Per la valutazione di questa situazione sono state ritenute confacenti
differenti formule legislative definitorie del rischio - invalidita' che sono
state oggetto, in epoche diverse, di significative modificazioni
interpretabili come tentativi di perfezionamento dettati, di volta in volta,
dai risultati dell' impatto con la realta' applicativa e dall' approfondimento
della esegesi dottrinaria e giurisprudenziale.
Antecedentemente alla emanazione della legge n. 222/1984 l' orientamento
divenuto prevalente era ispirato ad una concezione bio - sociologica molto
avanzata che vede l' individuo nella sua interezza, sul piano psico - fisico,
attitudinale ed applicativo, per cui in sede di valutazione ai fini
pensionistici assumevano rilevanza, insieme alle menomazioni della integrita'
psico - somatica, anche elementi socio - economico - ambientali, relativi al
mercato di lavoro.
La legge n. 222/1984 segue un indirizzo di politica legislativa, tendente
a circoscrivere la tutela sociale previdenzialmente coperta a situazioni di
bisogno non presunte bensi' effettivamente esistenti.
Questo nuovo indirizzo informa le nuove definizioni degli eventi tutelati
nelle quali, per quanto riguarda la valutazione del fatto costitutivo del
diritto, si e' fatto ricorso a criteri di giudizio ritenuti piu' oggettivi e
che, sul piano applicativo, accentuano il ruolo valutativo e decisionale del
medico.
1) ASSEGNO ORDINARIO DI INVALIDITA' (ART. 1)
Una corretta interpretazione dottrinaria alla definizione legislativa non
puo' prescindere dal considerare la motivaione di fondo che ha costituito la
premessa della revisione legislativa dell' invalidita' pensionabile
sintetizzabile nel proposito di normalizzare il fenomeno - invalidita' il cui
eccessivo incremento - registrato principalmente nell' ultimo decennio - e'
stato attribuito alla rilevante preponderanza che le considerazioni socio -
economiche hanno assunto nella individuazione dei soggetti pensionabili. A
questo proposito nella relazione che accompagna il disegno di legge e'
testualmente detto "quello che era il disegno originario del legislatore -
individuare, dopo il giudizio dello stato psico - fisico del lavoratore, le
possibilita' nonostante la perdita di capacita' di lavoro, di una occupazione
remunerativa - ha infatti subito una inversione logica e si e' via via data
preminenza alle concrete possibilita' occupazionali con sempre ridotta
connessione con lo stato psico - fisico del lavoratore".
Data questa premessa diventa evidente l' obiettivo principale che con la
legge 222/1984 il legislatore si e' prefisso di conseguire: la eliminazione,
nella valutazione della invalidita' pensionabile, della incidenza dei
coefficienti extrabiologici mantenendo, per il rimanente, essenzialmente
immutata la formulazione legislativa.
E' estata ritenuta adeguata pertanto una nuova definizione del rischio
tutelato con la quale l' invalidita' viene correlata alla compromissione della
"capacita' di lavoro" del richiedente la prestazione eliminando quel
riferimento alla "capacita' di guadagno" che figurava nella norma abrogata e
che implicava anche la considerazione in sede di valutazione, di fattori
estrinseci alla personalita' biologica del lavoratore.
Si tratta di un ritorno ad una concezione dell' invalidita' il cui
apprezzamento scaturisce dalla valutazione medica degli stati somato -
psichici e delle capacita' attitudinali individuali e che svincola la
concessione della pensione dalla influenza di fattori estrinseci ambientali
riguardanti l' andamento del mercato di lavoro.
Tenendo presenti lo spirito informatore e le finalita' della nuova legge,
le reali motivazioni della revisione legislativa ed il significato,
consolidato in dottrina, delle espressioni che figurano nel testo legislativo,
si deve ritenere che il concetto di "capacita' di lavoro in occupazioni
confacenti alle sue attitudini" , presupponga tanto la validita' psico -
fisica del richiedente l' assegno ordinario di invalidita', quanto la
preparazione professionale raggiunta come anche l' attitudine ad impiegare le
qualita' personali in occupazioni remunerative: pertanto e' definibile quale
idoneita' ad utilizzare con profitto le energie lavorative indipendentemente
dalla influenza di fattori economico - sociali - ambientali.
Richiamando quanto definitivamente acquisito in dottrina e
giurisprudenza, va precisato che il prescritto riferimento alle "occupazioni
confacenti alle sue attitudini" delinea una particolare forma di invalidita'
intermedia tra quella generica e quella specifica, ma non equidistante
giacche' nel singolo caso concreto si avvicina piu' all' uno o all' altro
genere di invalidita' a seconda del grado di specializzazione professionale
dell' assicurato.
Cio' premesso, le "occupazioni confacenti alle sue attitudini" si possono
definire come tutte quelle occupazioni che l' assicurato ha esercitato, in
maniera non occasionale ma continuativa, nell' arco della sua vita lavorativa
e le attivita' a questa analoghe.
Occorre precisare che l' espressione "occupazioni affini", spesso
ricorrente in dottrina e giurisprudenza, non deve riguardare soltanto
attivita' appartenenti ad una stessa categoria lavorativa ma deve essere
riferita all' impegno fisico ed intellettuale richiesti, al grado di
apprendimento ed agli "organi" (in senso medico - legale) interessati ad
espletarle. Sotto questo aspetto potranno risultare affini tra loro anche
mestieri molto differenti, mentre, di regola, piu' alto e' il livello di
specializzazione e minore e' la possibilita' di individuare occupazioni
similari.
Si deve osservare che la definizione legislativa della invalidita', di
cui all' art. 1 della legge in commento, mantenendo il riferimento alle
"occupazioni confacenti alle sue attitudini" che figurava nella formulazione
precedente, permette di superare le strettoie della valutazione generica e
consente una soddisfacente "personalizzazione" della valutazione del danno.
Tale criterio valutativo costituisce una rilevante differenza nei confronti
della legge assicurativa contro gli infortuni ove l' attitudine al lavoro
viene riferita pressoche' unanimamente - sia pure con alcune eccezioni
giurisprudenziali - al concetto di capacita' lavorativa generica, identificata
con quella di un lavoratore manuale medio dell' industria e dell' agricoltura,
senza tener conto di qualifiche ne' di specializzazione.
2. PENSIONE DI INABILITA' (ART.2)
L' art. 2 istituzionalizza un secondo grado di invalidita' per i casi nei
quali, a causa di infermita' o difetto fisico o mentale, si determini una
assoluta e permanente impossibilita' di svolgere qualsiasi attivita'
lavorativa.
L' intendimento inequivocabile del legislatore di porre questa
prestazione al riparo da ogni tentazione di occupazione emerge con tutta
evidenza dalla differente definizione dello stato di inabilita' adottata dal
legislatore rispetto ad altre gia' sperimentate ai fini di particolari
prestazioni previdenziali (art. 39 del DPR 26 aprile 1957, n. 818) laddove l'
inabilita' veniva riferita alla assoluta e permanente impossibilita' a
dedicarsi a proficuo lavoro.
La differenza concettuale che risulta dal confronto e' certamente
significativa. Infatti, la qualificazione dell' attivita' lavorativa come
"proficua", contenuta nella predecente normativa, ha permesso interpretazioni
- confermate da pronunce della Suprema Corte - secondo le quali per essere
riconosciuto inabile ad un lavoro proficuo non era necessario che il soggetto
fosse inabile a qualsiasi attivita' lavorativa ma bastava che non si potesse
dedicare ad un lavoro idoneo a poter soddisfare le sue primarie esigenze di
vita senza usura delle residue energie e che ai fini di tale accertamento
occorreva anche considerare le circostanze ambientali dell' attivita'
lavorativa.
E' del tutto evidente che la nuova normativa, con l' assoluto e
preclusivo riferimento all' impossibilita' di svolgere "qualsiasi" attivita'
lavorativa, contrasta apertamente con la linea interpretativa
giurisprudenziale derivata dal precedente riferimento al lavoro proficuo.
Sarebbe peraltro aberrante una interpretazione, cosi' letterale della norma da
circoscrivere il riconoscimento dello stato di inabilita' ai soli casi (invero
rari) nei quali la compromissione delle condizini biologiche coincide con una
condizione di totale inettitudine.
L' art. 2 della legge n. 222/1984, per il conseguimento del diritto alla
pensione di inabilita' , richiede invece l' esistenza di una menomazione
somato - psichica, di durata non prevedibile nel tempo, determinante una
assoluta incapacita' a disimpegnare qualsivoglia generica attivita'
produttiva, cioe' utilizzabile ai fini remunerativi, fermo restando che il
soggetto puo' conservare una residua efficienza purche' in misura talmente
esigua da non poter essere utilmente applicata in attivita' lavorative di
natura subordinata o autonoma, a nulla rilevando che si tratti di una
occupazione non confacente o usurante.
3) ASSEGNO MENSILE PER L'ASSISTENZA PERSONALE E CONTINUATIVA (ART. 5).
La previsione di uno speciale assegno mensile in aggiunta alla pensione
di inabilita' riservato ai soggetti che si trovano nell' impossibilita' di
deambulare senza l' aiuto permanente di un accompagnatore o che, non essendo
in grado ci compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di una
assistenza continua conferma - come del resto la previsione di una possibile
revoca (art. 9) per eventuale miglioramento - che la condizione di
"inabilita'" non coincide con una totale e certamente definitiva
compromissione della validita' psico - fisica.
Rispetto all' analoga prestazione prevista dalla legge infortuni -
accogliendo quanto sostenuto dalla prevalente dottrina medico - legale - la
concessione dell' assegno non e' vincolata alla presenza di menomazioni
rigidamente tabellate. Sono stati evidentemente tenuti presenti dal
legislatore i rischi e le insufficienze di una elencazione di menomazioni che,
anche se ampliata rispetto a quella considerata nella legislazione
infortunistica (art. 74 del T.U. 30 giugno 1965 n. 1123), sarebbe risultata
comunque lacunosa e oggetto di critiche sul piano della interpretazione.
La formulazione legislativa di cui all' art. 5 di fatto estende il
diritto all' assegno a tutti i soggetti, pensionati per inabilita' , per i
quali sia veramente indispensabile l' aiuto di accompagnatore oppure un'
assistenza continuativa. I due requisiti sono indipendenti (ciascuno di essi
puo' sostenere il diritto all' erogazione dell' assegno) prevedendo condizioni
di gravissimo pregiudizio della vita vegetativa e dell' attivita' della vita
di relazioni che dovrebbero risultare palesi e di immediata evidenza.
La lista delle menomazioni contemplate dalla legge infortunistica rimane,
comunque, un utile riferimento in sede applicativa della norma - che rientra
nella valutazione medico - legale dell' inabilita' - per l' individuazione
delle alterazioni somato - psichiche che possono dare luogo alla concessione
dell' assegno - quali, a titolo esemplificativo, le gravi riduzioni del virus,
le perdite anatomiche e funzionali di due o piu' arti o di importanti segmenti
di essi, le gravi alterazioni psichiche desocializzanti, le malattie che
rendono necessaria la continua, o quasi, degenza a letto - fermo restando che
si tratti di valutazioni che devono essere effettuate caso per caso in
relazione alla reale sussitenza dei requisiti richiesti dalla legge che
possono essere diversi da assicurato ad assicurato anche in presenza dello
stesso tipo di menomazioni.
* * *
A conclusione di questa sintetica rassegna degli aspetti piu' innovativi,
di ordine medico - legale, introdotti dalla legge n. 222/1984 sembra opportuna
qualche breve considerazione su pochi altri punti che presentano elementi di
particolare interesse sotto il profilo delle valutazioni sanitarie.
A) Una prima questione riguarda la "nozioni di permanenza" la quale
interessa non soltanto il riconoscimento del diritto all' assegno di
invalidita' ed alla pensione di inabilita' ma anche la possibilita' della loro
revoca.
Considerevoli cotributi dottrinali e giurisprudenziali hanno
definitivamente chiarito il significato del termine "permanenza" e, pertanto,
e' sufficiente ricordare che "permanente" non significa immutabile, ne'
sicuramente insanabile ma piu' realisticamente e' riferibile ad una situazione
biologica non transitoria, durevole a tempo indeterminato, senza previsione di
guarigione o di miglioramento a breve scadenza.
Non sembra doversi ritenere che la legge n. 222/1984 limitando la durata
dell' assegno ordinario di invalidita' al triennio, induca a rivedere questi
criteri soprattutto per quanto concerce il requisito della indeterminatezza
circa la durata dei processi morbosi invalidanti. La scadenza triennale dell'
assegno, infatti, costituisce una misura cautelativa finalizzata a contenere
l' erogazione di questa prestazione piuttosto che una sorta di copertura
previdenziale di quella "lunga malattia" auspicata da piu' parti in sede di
riforma e gia' realizzata in alcune legislazioni straniere.
Resta pertanto valido il concetto che una infermita' della quale sia
possibile prevedere con ragionevole sicurezza - nei limiti delle conoscenze
mediche - la guarigione ovvero un rilevante miglioramento entro un periodo di
tempo relativamente breve e comunque non indefinito debba giudicarsi
"emendabile" e dunque priva del carattere di permanenza e quindi non rilevante
ai fini del giudizio di invalidita'.
E' evidente che, avendo abrogato la legge n. 222 il riferimanto alla
capacita' di guadagno, il giudizio di permanenza deve riguardare
esclusivamente la menomazione psico - somatica. E questo costituisce un
aspetto decisamente positivo tanto e' vero che, gia' prima della revisione
legislativa, il criterio di valutazione ancorato alla situazione biologica era
ritenuto il piu' sicuro ed oggettivo, considerata la mutevolezza, l'
aleatorieta' , la fluttuazione delle condizioni socio - economiche.
B) Per quanto riguarda il c.d. "rischio precostituito" , l'art. 1, 2
comma, risolve legislativamente il problema sul quale si era gia' pronunciata
la Corte Costituzionale con sentenza n. 163/83: l' assegno compete anche a chi
abbia la capacita' di lavoro ridotta a meno di un terzo prima del sorgere del
rapporto assicurativo, purche' vi sia stato successivo aggravamento o siano
sopraggiunte nuove infermita'.
E' necessario, cioe', che la capacita' lavorativa venga ulteriormente
ridotta per soli fattori biologici, senza stabilire la misura della riduzione,
sicche' e' sufficiente anche un aggravamento di modesta entita' (Cass. Lav.
4853/84, 4854/84).
Se l' aggravamento comporta la perdita di ogni capacita' lavorativa, l'
assicurato gia' invalido prima dell' inizio del rapporto assicurativo, ha
ovviamente diritto alla pensione di inabilita' .
Va notato che per la pensione di inabilita' la legge non prevede l'
ipotesi della valutazione del c.d. "rischio precostituito" ; questo si spiega
agevolmente considerando che, pur essendo ipotizzabile un aggravamento delle
condizioni fisiche di chi e' gia' inabile, lo stato di inabilita' non consente
di per se' lo svolgimento di una qualsiasi attivita' lavorativa e quindi la
costituzione di un valido rapporto assicurativo.
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(1) V. "Atti Ufficiali" 1984, pag. 1787.
IL DIRETTORE GENERALE
FASSARI