Eureka Previdenza

Assistenza ai diversabili

Permessi retribuiti

Unioni civili e Conviventi

(circ.38/2017)

L'art. 33, comma 3, della legge n. 104/92 prevede il diritto ad usufruire di 3 giorni di permesso mensili retribuiti, in favore di lavoratori dipendenti che prestino assistenza al coniuge, a parenti o ad affini entro il secondo grado – con possibilità di estensione fino al terzo grado – riconosciuti in situazione di disabilità grave ai sensi dell’art. 3, c.3 della legge 104 stessa.

Alla luce di quanto disposto dalla legge n.76/2016 e dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 213/2016, i permessi in argomento possono essere fruiti:

In particolare, fermo restando il principio del referente unico, come individuato nelle circolari 155/2010 e 32/2012, il diritto ad usufruire dei permessi (di cui all’art. 33, comma 3, della legge n. 104/92) per assistere il disabile in situazione di gravità può essere concesso, in alternativa, al coniuge, alla parte dell’unione civile, al convivente di fatto, al parente o all’ affine entro il secondo grado. Inoltre, è possibile concedere il beneficio a parenti o affini di terzo grado qualora i genitori o il coniuge/la parte dell’unione civile/il convivente di fatto della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.


Unione civile ed affinità

Al riguardo si fa presente che tra una parte dell’unione civile e i parenti dell’altro non si costituisce un rapporto di affinità, dal momento che l’art. 78 del codice civile non viene espressamente richiamato dalla legge n.76 del 2016.

Si evidenza, pertanto, che a differenza di quanto avviene per i coniugi, la parte di un unione civile può usufruire dei permessi ex lege 104/92 unicamente nel caso in cui presti assistenza all’altra parte dell’unione e non nel caso in cui l’assistenza sia rivolta ad un parente dell’unito, non essendo riconoscibile in questo caso rapporto di affinità.


Valutazione del diritto ai permessi

Ai fini della valutazione della spettanza del diritto ai permessi in argomento, si fa presente quanto segue:

Per la qualificazione di “convivente” dovrà farsi riferimento alla “convivenza di fatto” come individuata dal comma 36 dell’art. 1, della legge 20 maggio 2016, n. 76 in base al quale «per convivenza di fatto si intendono due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile» e accertata ai sensi del successivo comma 37.

Tale comma prevede che, ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l’accertamento della stabile convivenza deve farsi riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’art. 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del regolamento anagrafico di cui al DPR 30 maggio 1989, n.223.

Per quanto riguarda la qualificazione di “parte dell’unione civile”, ai sensi del comma 3, art, 1 della legge 76/2016, dovrà farsi riferimento agli atti di unione civile registrati nell’archivio dello stato civile.

È opportuno sottolineare, infine, che, ai sensi di legge, mentre l’unione civile può essere costituita solo tra persone dello stesso sesso, la convivenza di fatto può essere costituita sia da persone dello stesso sesso che da persone di sesso diverso.

Assistenza ai diversabili

Permessi retribuiti

Modalità di fruizione dei giorni di permesso di cui all’articolo 33, commi 3 e 6, della legge n. 104/92 in corrispondenza di turni di lavoro articolati a cavallo di due giorni solari e/o durante giornate festive

(msg.3114/2018)

Il lavoro a turni è una particolare modalità organizzativa dell’orario normale di lavoro scelto dall’azienda per una efficiente organizzazione dell’attività lavorativa.


L’articolo 1 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, definisce il lavoro a turni come “qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo (impianti operativi che procedono per tutta la giornata e 7 giorni su 7) o discontinuo (impianti che non procedono 24 ore su 24), e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro a ore differenti su un periodo determinato di giorni o di settimane”.

Per “lavoro a turni” si intende, quindi, ogni forma di organizzazione dell’orario di lavoro, diversa dal normale “lavoro giornaliero”, in cui l’orario operativo dell’azienda può andare a coprire l’intero arco delle 24 ore e la totalità dei giorni settimanali.

Tale modalità organizzativa, pertanto, può comprendere anche il lavoro notturno e il lavoro prestato durante le giornate festive (compresa la domenica).


Al riguardo, si evidenzia che l’articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992 prevede la fruizione dei permessi mensili retribuiti “a giornata”, indipendentemente, cioè, dall’articolazione della prestazione lavorativa nell’arco delle 24 ore o della settimana e dal numero di ore che il dipendente avrebbe dovuto concretamente effettuare nel giorno di interesse.

Ne deriva che il beneficio in argomento può essere fruito anche in corrispondenza di un turno di lavoro da effettuare nella giornata di domenica.

Lo stesso principio si applica anche al lavoro notturno.

Si precisa infatti che, sebbene il lavoro notturno si svolga a cavallo di due giorni solari, la prestazione resta riferita ad un unico turno di lavoro in cui si articola l’organizzazione.

Ne consegue che il permesso fruito in corrispondenza dell’intero turno di lavoro va considerato pari ad un solo giorno di permesso anche nel caso in cui si articoli a cavallo di due giorni solari.


Si rappresenta, infine, che l’eventuale riproporzionamento orario dei giorni di permesso ai sensi dell’articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992 dovrà essere applicato solo in caso di fruizione ad ore del beneficio in argomento. In tale caso, ai fini della determinazione delle ore mensili fruibili, deve essere applicato l’algoritmo di calcolo di cui al messaggio n. 16866 del 28/6/2007, che di seguito si riporta:

“orario di lavoro medio settimanale/numero medio dei giorni (o turni) lavorativi settimanali x 3 = ore mensili fruibili “.

Permessi retribuiti

Revisione dei verbali di accertamento dell'inabilità in situazione di gravità

Vedi argomento su congedo straordinario

Assistenza ai diversabili

Congedo straordinario e permessi 104/92

Concessione agli uniti civilmente. Riconoscimento dei benefici in favore dei parenti dell’altra parte dell’unione civile

(circ.36/2022)

L'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, prevede il diritto ad usufruire di tre giorni di permesso mensili retribuiti in favore di lavoratori dipendenti che prestino assistenza al coniuge, a parenti o ad affini riconosciuti in situazione di disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della medesima legge.

Il comma 5 dell’articolo 42 del D.lgs 26 marzo 2001, n. 151, stabilisce la concessione del congedo straordinario in favore di soggetti con disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge n. 104/1992, fissando un ordine di priorità dei soggetti aventi diritto al beneficio che, partendo dal coniuge, degrada fino ai parenti e agli affini di terzo grado.

Le predette disposizioni sono state nel tempo coordinate con quelle introdotte dalla legge 20 maggio 2016, n. 76, e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 213 del 5 luglio 2016, tenendo conto in particolare che:

  • la legge n. 76/2016 ha disciplinato le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto prevedendo al comma 20 dell’articolo 1, tra l’altro, che “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso”;
  • la Corte costituzionale con la sentenza n. 213 del 5 luglio 2016, inoltre, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992 nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire dei permessi ai sensi del medesimo articolo 33, comma 3.

Pertanto, la circolare n. 38 del 27 febbraio 2017 ha fornito le istruzioni operative per la concessione dei permessi di cui alla legge n. 104/1992 e del congedo straordinario ai sensi dell’articolo 42, comma 5, del D.lgs n. 151/2001 in favore del lavoratore dipendente del settore privato, parte di un’unione civile o convivente di fatto, che presti assistenza all’altra parte o convivente, precisando quanto segue:

  • la parte di un’unione civile, che presti assistenza all’altra parte, può usufruire di:
    • permessi di cui alla leggen. 104/1992,
    • congedo straordinario ai sensi dell’articolo 42, comma 5, del D.lgs n. 151/2001;
  • il convivente di fatto di cui ai commi 36 e 37 dell’articolo 1 della legge n. 76/2016, che presti assistenza all’altro convivente, può usufruire unicamente di:
    • permessi di cui alla leggen. 104/1992.

Ciò premesso, con la presente circolare si forniscono nuove istruzioni operative finalizzate al riconoscimento dei benefici in oggetto in favore dei parenti dell’altra parte dell’unione civile.


Il quadro normativo nazionale e comunitario

Come anticipato, l’articolo 1, comma 20, della legge n. 76/2016 che ha istituito e regolamentato le unioni civili tra persone dello stesso sesso, prevede che: “Al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso”. Lo stesso comma, proseguendo, precisa che“la disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge […]”.

Dal momento che l’articolo 78 del codice civile, che individua il rapporto di affinità tra il coniuge e i parenti dell’altro, non viene espressamente richiamato dalla legge n. 76/2016, nella circolare n. 38/2017 era stato seguito l’orientamento, a suo tempo condiviso con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, per cui tra una parte dell’unione civile e i parenti dell’altro non si costituisce un rapporto di affinità.

Pertanto, a differenza di quanto avviene per i coniugi, era stato previsto che la parte di un’unione civile potesse usufruire dei permessi di cui alla legge n. 104/1992 unicamente nel caso in cui prestasse assistenza all’altra parte dell’unione e non nel caso in cui l’assistenza fosse rivolta ad un parente dell’unito, non essendo riconoscibile in questo caso rapporto di affinità.

Successivamente, su espresso parere del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali viene sottolineata la necessità di modificare tale posizione, potendosi configurare altrimenti una discriminazione per orientamento sessuale.

L’orientamento seguito finora, infatti, seppure attuativo di una norma nazionale, sarebbe in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale dell’Unione europea che, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio di parità di trattamento, vieta la discriminazione basate sull’orientamento sessuale, in particolare per quanto concerne l’occupazione, le condizioni di lavoro e la retribuzione (Direttiva 2000/78/CE attuata in Italia con il D.lgs 9 luglio 2003, n. 216).

Il diritto ai benefici in oggetto nei confronti delle parti di un’unione civile, infatti, non avrebbe la stessa estensione riconosciuta ai soggetti legati da un rapporto di coniugio (al quale pur volendo non potrebbero accedere), anche se in presenza di situazioni comparabili, caratterizzate entrambe da una stabile relazione tra le parti e da un rapporto di affettività che da essa deriva anche nei confronti dei parenti del partner.

Pertanto, alla luce della normativa antidiscriminatoria di origine comunitaria e del primato del diritto dell’Unione europea nei confronti della normativa nazionale, si forniscono di seguito nuove istruzioni operative finalizzate al riconoscimento dei benefici in oggetto in favore dei parenti dell’altra parte dell’unione civile. Fatte salve le modifiche e le integrazioni di cui alla presente circolare, restano ferme le indicazioni già fornite dall’Istituto con la circolare n. 38/2017.


3. Effetti sulla concessione dei permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992 ai lavoratori dipendenti del settore privato

Come premesso, l'articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992 prevede il diritto ad usufruire di tre giorni di permesso mensili retribuiti, in favore di lavoratori dipendenti che prestino assistenza al coniuge, a parenti o ad affini entro il secondo grado – con possibilità di estensione fino al terzo grado – riconosciuti in situazione di disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della medesima legge.

Alla luce di quanto disposto dalla legge n. 76/2016 e dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 213/2016 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992, nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con disabilità in situazione di gravità, nella circolare n. 38/2017, è stato specificato che i permessi in argomento possono essere fruiti anche:

  • dalla parte di un’unione civile che presti assistenza all’altra parte;
  • dal convivente di fatto, di cui ai commi 36 e 37 dell’articolo 1 della legge n. 76/2016, che presti assistenza all’altro convivente.

In particolare, fermo restando il principio del referente unico, come individuato nelle circolari n. 155 del 3 dicembre 2010 e n. 32 del 6 marzo 2012, il diritto ad usufruire dei permessi di cui al citato articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992, per assistere il disabile in situazione di gravità, può essere concesso, in alternativa, al coniuge, alla parte dell’unione civile, al convivente di fatto, al parente o all’affine entro il secondo grado. Inoltre, è possibile concedere il beneficio a parenti o affini di terzo grado qualora i genitori o il coniuge/la parte dell’unione civile/il convivente di fatto della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

Alla luce delle considerazioni di cui al paragrafo 2, si forniscono le seguenti nuove istruzioni.

Al fine di evitare comportamenti discriminatori nei riguardi di due situazioni giuridiche comunque comparabili (uniti civilmente e coniugi), seppure l’articolo 78 del codice civile non venga espressamente richiamato dalla legge n. 76/2016, ai fini del riconoscimento dei benefici in parola, va riconosciuto sussistente il rapporto di affinità anche tra l’unito civilmente e i parenti dell’altra parte dell’unione.

Ne deriva che, per i lavoratori del settore privato, il diritto ai permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992 va riconosciuto all’unito civilmente, oltre che nel caso in cui in cui questi presti assistenza all’altra parte dell’unione, anche nel caso in cui rivolga l’assistenza ad un parente dell’unito.

Allo stesso modo i parenti dell’unito civilmente avranno diritto ad assistere l’altra parte dell’unione.

Resta fermo il rispetto del grado di affinità normativamente previsto.

Si evidenzia, invece, che il rapporto di affinità non è riconoscibile tra il “convivente di fatto” e i parenti dell’altro partner, non essendo la “convivenza di fatto” un istituto giuridico, ma una situazione di fatto tra due persone che decidono di formalizzare il loro legame affettivo stabile di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale.

Pertanto, a differenza di quanto avviene per i coniugi e gli uniti civilmente, il “convivente di fatto” può usufruire dei permessi di cui alla legge n. 104/1992 unicamente nel caso in cui presti assistenza al convivente e non nel caso in cui intenda rivolgere l’assistenza a un parente del convivente.

Ai fini della valutazione della spettanza del diritto ai permessi in argomento, si ribadisce inoltre quanto segue.

Allo stato normativo attuale, mentre l’unione civile può essere costituita solo tra persone dello stesso sesso, la convivenza di fatto può essere costituita sia da persone dello stesso sesso che da persone di sesso diverso.

Per la qualificazione di “convivente” deve farsi riferimento alla “convivenza di fatto” come individuata dal comma 36 dell’articolo 1 della legge n. 76/2016 in base al quale “si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile” e accertata ai sensi del successivo comma 37.

Quest’ultimo comma prevede che, ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al precedente comma 36, per l’accertamento della stabile convivenza deve farsi riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del regolamento di cui al D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223.

Per quanto riguarda la qualificazione di “parte dell’unione civile”, ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge n. 76/2016, dovrà farsi riferimento agli atti di unione civile registrati nell’archivio dello stato civile.

Trattandosi in entrambi i casi di dati detenuti da altra pubblica Amministrazione, ai fini della concessione del diritto sarà sufficiente la dichiarazione del richiedente, nella domanda, di essere coniuge/parte di unione civile/convivente di fatto ai sensi del comma 36 dell’articolo 1 della legge n. 76/2016. Sarà cura dell’operatore di Sede provvedere, secondo le consuete modalità, all’espletamento dei controlli delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni.

Le Strutture territoriali avranno cura di riesaminare, alla luce dei suddetti chiarimenti, i provvedimenti già adottati e le istanze già pervenute e non ancora definite relativamente ai rapporti non esauriti, intendendosi come tali quelle situazioni giuridiche per le quali non sia intervenuta sentenza passata in giudicato o prescrizione del diritto.


4. Effetti sulla concessione del congedo straordinario ai sensi dell’articolo 42, comma 5, del D.lgs n. 151/2001 ai lavoratori dipendenti del settore privato

Il comma 5 dell’articolo 42 del decreto legislativo n. 151/2001 stabilisce la concessione del congedo straordinario in favore di soggetti con disabilità grave accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge n. 104/1992, fissando un ordine di priorità dei soggetti aventi diritto al beneficio che degrada dal coniuge fino ai parenti e agli affini di terzo grado.

Come indicato nella circolare n. 38/2017, alla luce di quanto disposto dalla legge n. 76/2016, l’unito civilmente è incluso, in via alternativa e al pari del coniuge, tra i soggetti individuati prioritariamente dal legislatore ai fini della concessione del beneficio in parola.

Per le ragioni illustrate nel precedente paragrafo 3, la tutela del congedo straordinario in argomento non è prevista, invece, in favore del convivente di fatto di cui ai commi 36 e 37 dell’articolo 1 della legge 76/2016.

Tutto quanto sopra premesso, è possibile usufruire del congedo in esame secondo il seguente ordine di priorità:

  • il “coniuge convivente”/la “parte dell’unione civile convivente” della persona disabile in situazione di gravità;
  • il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, della persona disabile in situazione di gravità, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del “coniuge convivente”/della “parte dell’unione civile convivente”;
  • uno dei “figli conviventi” della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui il “coniuge convivente”/la “parte dell’unione civile convivente” ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;
  • uno dei “fratelli o sorelle conviventi” della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il “coniuge convivente”/la “parte dell’unione civile convivente”, “entrambi i genitori” e i “figli conviventi” del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;
  • un “parente o affine entro il terzo grado convivente” della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il “coniuge convivente”/la “parte dell’unione civile convivente”, “entrambi i genitori”, i “figli conviventi” e i “fratelli o sorelle conviventi” siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;
  • uno dei figli non ancora conviventi con la persona disabile in situazione di gravità, ma che tale convivenza instauri successivamente, nel caso in cui il “coniuge convivente” /la “parte dell’unione civile convivente”, “entrambi igenitori”, i “figli conviventi” e i “fratelli o sorelle conviventi”, i “parenti o affini entro il terzo grado conviventi” siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti.

Sulla base delle considerazioni esposte nei paragrafi precedenti, anche con riferimento al congedo straordinario, il diritto per i lavoratori del settore privato va riconosciuto all’unito civilmente oltre che nel caso in cui in cui questi presti assistenza all’altra parte dell’unione, anche nel caso in cui rivolga l’assistenza a un parente dell’unito.

Allo stesso modo i parenti di una parte dell’unione civile avranno diritto ad assistere l’altra parte dell’unione.

Resta fermo il limite del terzo grado di affinità e il requisito della convivenza (come individuato nella circolare n. 32/2012, paragrafo 6, fatte salve le precisazioni di cui al messaggio n. 6512/2010) con l’affine disabile grave da assistere.

Ai fini della valutazione della spettanza del diritto al congedo in argomento, si rinvia a quanto evidenziato nel paragrafo precedente in merito alla qualificazione di parte dell’unione civile.

Le Strutture territoriali avranno cura di riesaminare, alla luce di tali chiarimenti, i provvedimenti già adottati e le istanze già pervenute e non ancora definite relativamente ai rapporti non esauriti, intendendosi come tali quelle situazioni giuridiche per le quali non sia intervenuta sentenza passata in giudicato o prescrizione del diritto.

Assistenza ai diversabili

Permessi retribuiti

Contribuzione figurativa

(circ.87/2001)

L’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 recante legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate stabilisce che successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno.

L’articolo 33, comma 6, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 prevede, tra l’altro, che la persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire dei permessi di cui al comma 3 (v. circolare n. 80 del 24.3.1995).

L’articolo 19, lett. a) della legge 8 marzo 2000, n. 53 recante disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città stabilisce che i suddetti permessi sono coperti da contribuzione figurativa. La menzionata legge è entrata in vigore il 28.3.2000 e, pertanto, i periodi decorrenti da tale data sono coperti dalla contribuzione in parola.

Trattandosi di singole giornate di riposo, la contribuzione figurativa è attribuita in quota integrativa e non incide sul numero di contributi settimanali spettanti all’interessato.

Il valore da attribuire a tali permessi dovrà essere determinato con i criteri e le modalità dell’articolo 8 della legge n. 155 del 23 aprile 1981 (v. circolare n. 15, p. 7, del 23.1.2001).

I periodi in questione, da accreditare su domanda degli interessati, devono essere considerati utili ai fini dei trattamenti pensionistici.

L’importo delle pensioni in corso di liquidazione e di quelle di futura trattazione deve essere determinato tenendo conto dei contributi figurativi ricompresi nel periodo utile ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile.

Per quanto concerne le pensioni già liquidate, le Sedi provvederanno a domanda degli interessati alla riliquidazione delle stesse dalla decorrenza originaria, in ogni caso non anteriore al 1° aprile 2000, con il computo dei contributi in questione corrispondendo le maggiori somme eventualmente spettanti entro i limiti della prescrizione decennale.


Lavoratori agricoli

Per i lavoratori agricoli a tempo indeterminato si richiamano le istruzioni fornite con circolare n. 80 del 24.3.1995 secondo cui i predetti possono fruire dei riposi di tre giorni.

Per i lavoratori agricoli a tempo determinato si richiamano le istruzioni fornite con circolare n. 133 del 17.7. 2000, punto 3.3 secondo cui "il riconoscimento dei giorni di permesso è possibile quando detti lavoratori sono occupati con contratto stagionale di durata pari almeno ad un mese, con previsione per 6 (o 5 giorni se viene effettuata "settimana corta") alla settimana. Tale possibilità è comunque da escludere per le frazioni di mese, vale a dire per i mesi in cui l’attività viene svolta solo per alcuni giorni".

Il requisito che le giornate di riposo retribuite non risultino coperte da contributi obbligatori è riscontrabile quando dette giornate non siano comprese in quelle certificate, per gli operai agricoli a tempo determinato ed a tempo indeterminato, dai modelli DMAG (circolare n. 64 del 17.3.1998).

Considerato che dette giornate non risultano allo stato cristallizzate negli elenchi, per le finalità di riconsiderazione delle giornate di riposo ex articolo 33, comma 36, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 ai fini del diritto e della misura delle pensioni, compresa la pensione di anzianità, le Sedi potranno utilizzare le risultanze delle registrazioni operate dall’azienda sul registro delle imprese.

Poiché i contributi per gli operai agricoli sono giornalieri, i contributi figurativi per le giornate di riposo fruite da detta categoria di lavoratori valgono anche come copertura contributiva (mentre ciò non vale per i lavoratori dipendenti non agricoli, vista la non incidenza delle singole giornate di riposo sul numero dei contributi settimanali spettanti all’interessato).

Situazioni particolari (coesistenza di contribuzione agricola e non agricola; contribuzione agricola da lavoro sia a tempo determinato, che a tempo indeterminato, etc.) trovano soluzione nelle istruzioni di cui al punto 3.1.6 della circolare n. 19002 R.C.V. – n. 53594 A.G.O. n. 11405 O. del 9.7.1983, relativo alla contribuzione figurativa da accreditare a giornate.

Nei confronti degli operai a tempo determinato per dette giornate la retribuzione di riferimento per determinare il valore retributivo deve essere o quella media provinciale stabilita con decreto ministeriale 1.7.1996, nel caso di o.t.d. le cui retribuzioni contrattuali non avessero ancora superato detta retribuzione media provinciale , oppure la retribuzione effettivamente corrisposta dal datore di lavoro, nel caso di o.t.d. le cui retribuzioni contrattuali avessero già superato la sopra indicata retribuzione media provinciale.

Nei confronti degli operai agricoli a tempo indeterminato, con riferimento alla media giornaliera delle retribuzioni che il lavoratore ha percepito in costanza di lavoro nell’anno solare in cui si collocano i periodi accreditati, con esclusione delle retribuzioni percepite in misura ridotta per determinati eventi (malattia, infortuni, integrazione salariale agricola), qualora le giornate di riposo fossero state fruite dagli operai agricoli con contratto di lavoro a tempo indeterminato nella frazione di anno antecedente la decorrenza della pensione, non va fatto riferimento alla retribuzione media giornaliera dell’anno, bensì alla media delle retribuzioni del periodo che va dal gennaio sino a tutto il mese precedente la decorrenza della pensione, escludendo sempre le retribuzioni ridotte di cui sopra è cenno risultanti nello stesso periodo (in pratica il valore retributivo giornaliero si determina dividendo l’ammontare complessivo delle retribuzioni dell’anno per il numero complessivo di giornate dell’anno stesso. Per i periodi che si collocano nell’anno di decorrenza della pensione il valore retributivo giornaliero si determina dividendo l’ammontare delle retribuzioni della frazione di anno antecedente la decorrenza della pensione per il numero delle giornate comprese nello stesso arco temporale).

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