Eureka Previdenza

Part-time verticale o ciclico

Quadro normativo di riferimento

(circ.74/2021)

Il rapporto di lavoro a tempo parziale è stato organicamente disciplinato nel nostro ordinamento dall’articolo 5 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, destinato ai lavoratori disponibili a svolgere attività ad orario inferiore rispetto a quello ordinario previsto dai contratti collettivi di lavoro o per periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno. Detto testo normativo, nel disciplinare per la prima volta il lavoro a tempo parziale, ha tra l’altro previsto che siffatta fattispecie contrattuale debba necessariamente essere stipulata con atto scritto.

Successivamente, il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, emanato in attuazione della delega di cui alla legge 5 febbraio 1999, n. 25, come modificato dal decreto legislativo 26 febbraio 2001, n. 100, dall’articolo 46 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e dall'articolo 1, comma 44, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, recependo i contenuti della direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997, all’articolo 1, comma 2, ne ha ulteriormente dettagliato la disciplina.

Con la circolare n. 246 del 24 dicembre 1986 l’Istituto ha fornito le prime indicazioni in materia prevedendo, in particolare, che il meccanismo di computo proporzionale debba trovare applicazione per i periodi di lavoro a tempo parziale successivi al 6 gennaio 1985, data di entrata in vigore della legge di conversione 19 dicembre 1984.

Successivamente, con la circolare n. 123 del 27 giugno 2000, è stata data applicazione alla normativa recata dal D.lgs n. 61/2000 per quanto riguarda, in particolare, la determinazione del minimale orario retributivo per il calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali.

Il D.lgs n. 61/2000 è stato poi abrogato dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, che rappresenta, ad oggi, la disciplina normativa di riferimento.

Con riferimento alla valorizzazione nella posizione assicurativa dei periodi di lavoro svolti con contratto part-time di tipo verticale o ciclico, la disciplina previdenziale non ha consentito, sino ad oggi, all’Istituto di riconoscere, per le gestioni private, l’accredito pieno delle settimane di contribuzione.

Ciò in ragione dell’applicazione della normativa di carattere generale in materia di accreditamento dei contributi per il diritto a pensione di cui all’articolo 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, e successive modificazioni.

Detto articolo dispone, infatti, che: “Il numero dei contributi settimanali da accreditare ai lavoratori dipendenti nel corso dell'anno solare, ai fini delle prestazioni pensionistiche a carico dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, per ogni anno solare successivo al 1983 è pari a quello delle settimane dell'anno stesso retribuite o riconosciute in base alle norme che disciplinano l'accreditamento figurativo […]”.

Conseguentemente, la “settimana retribuita” è risultata essere il parametro di misurazione del valore temporale accreditabile in estratto conto, pur se temperato dal rinvio al rispetto del minimale.

Peraltro con norma speciale, precisamente con l’articolo 8 della legge 29 dicembre 1988, n. 554, letto in combinato disposto con il D.P.C.M. 17 marzo 1989, n. 117, il legislatore ha introdotto un’eccezione alla disciplina sopra illustrata per i lavoratori con IVS in una delle casse ex Inpdap, ovvero iscritti ai Fondi Speciali FS e ex Ipost - posto che le descritte gestioni beneficiano delle norme di accredito dell’anzianità contributiva e di calcolo della prestazione pensionistica proprie dei dipendenti pubblici - disponendo, al comma 2 dell’articolo 8 medesimo che, ai fini dell'acquisizione del diritto alla pensione a carico dell'amministrazione interessata e del diritto all'indennità di fine servizio, gli anni di servizio ad orario ridotto devono essere considerati utili per intero.

In merito alla disciplina complessivamente sopra descritta rileva anche l’attuale consolidato orientamento giurisprudenziale, che afferma la necessità che il contratto part-time di tipo verticale o ciclico, caratterizzato da concentrazione dell’attività in alcune settimane del mese o per alcuni mesi dell’anno, alternata a periodi di non attività, non sia distinto dalla generalità dei rapporti di lavoro part-time al fine della valutazione dei periodi non lavorati nel calcolo dell’anzianità contributiva utile per il diritto a pensione.

Sulla questione, infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, sez. II, con la sentenza del 10 giugno 2010, nei procedimenti riuniti C-395/08 e C-396/08, pronunziandosi in via pregiudiziale in applicazione dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ha affermato che il principio di non discriminazione enunciato nella direttiva n. 97/81/CE, recepita dall’Italia con il citato D.lgs n. 61/2000, comporta che “l'anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati”.

La Corte ha statuito, quindi, che “escludendo dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione i periodi non lavorati, [si] instaura una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico e lavoratori a tempo pieno e, pertanto, [si] viola il principio di non discriminazione enunciato dalla clausola 4 dell’accordo quadro” e, pertanto, “la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, dev’essere interpretata, con riferimento alle pensioni, nel senso che osta a una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione”.

In tal senso, anche la Suprema Corte di Cassazione con diverse pronunce (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent. n. 24532 del 2015) ha uniformato la propria posizione a tale principio di diritto.

Tanto rappresentato, con l’articolo 1, comma 350, della legge n. 178/2020, in vigore dal 1° gennaio 2021, viene superata la questione riferita alla pretesa del riconoscimento previdenziale per intero dei periodi non lavorati svolti in corso di contratto part-time di tipo verticale o ciclico.

Tale articolo, infatti, come anticipato in premessa, dispone che: “il periodo di durata del contratto di lavoro a tempo parziale che prevede che la prestazione lavorativa sia concentrata in determinati periodi è riconosciuto per intero utile ai fini del raggiungimento dei requisiti di anzianità lavorativa per l'accesso al diritto alla pensione”.

Il riconoscimento dei periodi, senza valenza in termini di imposizione contributiva ma utile esclusivamente ai fini del diritto a pensione, trova applicazione relativamente ai contratti di lavoro part-time di tipo verticale o ciclico in corso ovvero esauriti - in quest’ultimo caso a domanda dell’assicurato - e per l’intero periodo di durata degli stessi. Conseguentemente non rileva la collocazione temporale dei relativi periodi, ferma restando la decorrenza della norma istitutiva del rapporto di lavoro part-time.

Da ciò discende che il suddetto riconoscimento non può, in ogni caso, trovare applicazione con riferimento a periodi di lavoro che si collochino temporalmente prima dell’entrata in vigore dell’articolo 5 del decreto-legge n. 726/1984.

Resta fermo quanto già previsto per i lavoratori del settore pubblico, di cui all’articolo 7 della legge n. 554/1988, dall’articolo 8, comma 2, della medesima legge, in base al quale: “Ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione a carico dell’amministrazione interessata e del diritto all’indennità di fine servizio, gli anni di servizio ad orario ridotto sono da considerarsi utili per intero” (cfr., sul punto, la circolare Inpdap n. 61/1997 e il D.P.C.M. n. 117/1989).

L’articolo 1, comma 350, dispone inoltre che: “A tal fine, il numero delle settimane da assumere ai fini pensionistici si determina rapportando il totale della contribuzione annuale al minimale contributivo settimanale determinato ai sensi dell'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638”.

Ne deriva, pertanto, che permane la valutazione di congruità al minimale pensionistico, di cui all’articolo 7 del decreto-legge n. 463/1983, che deriva dalla retribuzione complessivamente accreditata per il rapporto di lavoro nell’annualità considerata ovvero nel minore periodo in caso di rapporto di minore durata.

Da ciò discende inoltre che, in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale, tutte le settimane nell’ambito della durata dello stesso saranno valutate per intero, ai fini dell’anzianità di diritto, a condizione che la retribuzione accreditata nel periodo annuale di riferimento sia almeno pari all’importo minimale di retribuzione previsto per l’anno considerato; in difetto, verrà riconosciuto un numero di contributi pari al rapporto fra l’imponibile retributivo annuo e il minimale settimanale pensionistico vigente nello stesso anno, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 7, comma 2, del citato decreto-legge n. 463/1983.

Conseguentemente l’anzianità contributiva dei periodi di attività svolta in part-time, ai fini della misura della prestazione pensionistica, va imputata nel rispetto dei parametri in vigore, proporzionalmente all’orario di lavoro svolto, e determinata dal rapporto fra le ore retribuite in ciascun anno solare e il numero delle ore settimanali previste dal contratto per i lavoratori a tempo pieno.

Giova precisare, inoltre, che l’implementazione opera limitatamente al periodo di sospensione del rapporto di lavoro part-time verticale o ciclico in funzione della mancata prestazione lavorativa connessa all’articolazione dell’orario di svolgimento dell’attività lavorativa del rapporto part-time stesso.

Rimane altresì confermata l’esclusione, da detto incremento, dell’anzianità contributiva ai fini del diritto dei periodi non lavorati e non retribuiti per sospensione del rapporto di lavoro senza retribuzione, derivanti da causa diversa dal part-time.

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