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Iscritti alla gestione dipendenti pubblici
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Lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione - Lettera B
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Lavoratori cessati entro il 30/09/2012 e in mobilita ordinaria o in deroga a seguito di accordi governativi o non governativi, stipulati entro il 31 dicembre 2011 - Lettera A
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Lavoratori contemporaneamente prosecutori volontari e cessati per accordi individuali o collettivi
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Lavoratori il cui rapporto di lavoro si sia risolto per accordi individuali o per accordi collettivi di incentivo all'esodo - Lettera C
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Lavoratori prosecutori volontari in mobilità ordinaria che attendono il termine della stessa per effettuare il versamento volontario - Lettera D
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Soggetti non scrutinati nella prima e seconda salvaguardia (65.000, 55.000)
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Terza Salvaguardia - 10.130
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Tipologie dei lavoratori e criteri di salvaguardia
Sentenza 286 dell'8 luglio 1987
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Dott. Francesco SAJA , Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1 del d.l.l. 18 gennaio 1945, n. 39 (Disciplina del trattamento di riversibilità delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per la invalidità e la vecchiaia) nel testo sostituito dall'art. 7 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia e i superstiti) e riprodotto nell'art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale); dell'art. 23, comma quarto, della legge 18 agosto 1962, n. 1357 (Riordinamento dell'ente nazionale di previdenza e assistenza dei veterinari), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 3 aprile 1979 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Cattarinich Anna Maria contro l'I.N.P.S., iscritta al n. 134 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 124 dell'anno 1980;
2) ordinanza emessa l'8 gennaio 1980 dal pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Sconfienza Maria e Ente nazionale previdenza ed assistenza veterinari, iscritta al n. 337 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20 dell'anno 1980;
Visti gli atti di costituzione dell'I.N.P.S. e di Sconfienza Maria;
Udito nell'udienza pubblica del 1ø luglio 1987 il giudice relatore Francesco Greco;
Udito l'avv. Paolo Boer per l'I.N.P.S.;
Ritenuto in fatto
1. - Cattarinich Maria, vedova di Chifari Antonio, dipendente dell'E.N.E.L. deceduto il 21 marzo 1970, dal quale essa viveva separata per propria colpa, giusta sentenza del Tribunale di Palermo in data 5 novembre 1960, passata in giudicato, chiedeva all'I.N.P.S. la corresponsione della pensione di riversibilità a carico del Fondo speciale per i lavoratori delle imprese elettriche.
La domanda veniva respinta in sede amministrativa e, da ultimo, in sede giudiziaria con sentenza della corte di appello di Palermo.
Con ricorso per cassazione la Cattarinich sosteneva che per la pensione di rivesibilità a carico del suddetto Fondo speciale non trovava applicazione il divieto, posto in via generale per l'assicurazione obbligatoria I.V.S., di concessione della pensione stessa al coniuge separato per propria colpa; subordinatamente eccepiva l'illegittimità costituzionale delle norme istitutive di tale divieto.
La Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 3 aprile 1979, in parziale accoglimento di quest'eccezione, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma n. 1, del d.l.l. 18 gennaio 1945 n. 39, nel testo sostituito dall'art. 7 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, e riprodotto dall'art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153, in riferimento all'art. 3 della Costituzione nella parte in cui vieta la corresponsione della pensione di riversibilità al coniuge separato per sua colpa con sentenza passata in giudicato.
La Corte rilevava, preliminarmente, che tale divieto, contrariamente all'assunto della ricorrente, operava anche con riferimento alle pensioni a carico del menzionato fondo speciale, stante il richiamo alla disciplina comune, comprensiva delle norme censurate, contenuto nella legge 25 novembre 1971, n. 1079 (art. 9), regolatrice di tale fondo.
Riteneva, poi, rilevante l'esposta questione, osservando che un'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate avrebbe certamente comportato il riconoscimento del diritto della ricorrente alla rivendicata pensione, pur essendosi la morte del dante causa verificata in epoca di vigenza del divieto in questione. Ciò perché tale evento si pone soltanto come circostanza che predispone alla possibile maturazione del diritto del superstite ove si verifichino tutte le altre condizioni costitutive della fattispecie normativa, alla cui completezza é legata la produzione degli effetti. Pertanto, il sopravvenire di una disposizione soppressiva di quel divieto costituisce completamento di una fattispecie in via di formazione, in presenza del presupposto della morte dell'assicurato.
Nel merito, riteneva, anzitutto, la manifesta infondatezza dell'eccezione di illegittimità costituzionale delle citate norme sollevata dalla parte privata in riferimento all'art. 38 della Costituzione, considerando estranea all'ambito di operatività di questa norma la materia delle pensioni ai superstiti. Rilevava, invece, profili di illegittimità in riferimento all'art. 3 della Costituzione in quanto:
a) mentre al coniuge separato per sua colpa é negato il diritto alla pensione di riversibilità gli é, invece, consentito di ottenere una quota della medesima ove abbia ottenuto il divorzio: il che, oltre ad essere irrazionale perché privilegia situazioni di crisi irreversibili del matrimonio (quali sono appunto quelle che ne determinano lo scioglimento) rispetto alla semplice separazione (nella quale il rapporto é ancora in vita), lo é anche perché crea un incentivo del coniuge separato per colpa a chiedere il divorzio e così a rendere definitiva quella crisi che, invece, il legislatore mira a sanare e comporre (art. 157 del codice civile);
b) ulteriore ed ingiustificata disparità di trattamento emerge dal raffronto col diritto riconosciuto alla vedova del dipendente statale, separata per colpa, alla quale spetta, se versa in stato di bisogno, un assegno alimentare (art. 11 della legge n. 46/1958);
c) attesa la natura, almeno in parte, alimentare della pensione, il divieto in questione si pone in contrasto con la linea di tendenza dell'ordinamento in materia di diritto agli alimenti: questo é assicurato, o sia in vita del debitore indipendentemente dalla colpa o addebitabilità della separazione al coniuge (art. 156 cod. civ. vecchio e nuovo testo), sia oltre la morte del debitore, in quanto il combinato disposto degli artt. 548 e 585 del cod. civ. (nuovo testo) attribuisce al coniuge cui sia stata addebitata la separazione (equiparabile, a questi fini, a coniuge separato per colpa nel previgente regime) e che godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto, il diritto ad un assegno vitalizio, sia quale legittimario che quale successore legittimo;
d) dopo la riforma del diritto di famiglia (legge n. 151/1975) é stato soppresso l'istituto della separazione per colpa; e, sebbene quello dell'addebito sia, a certi effetti, equiparato all'altro dall'art. 151, secondo comma, del cod. civ. (nuovo testo) é dubbio che, dopo detta soppressione, al coniuge separato con addebito possa disconoscersi il diritto alla pensione di riversibilità in base alla norma dettata con espresso riferimento al caso di separazione per colpa, né del resto, appare sostenibile che per effetto di detta riforma sia stata implicitamente abrogata tale norma, con conseguente venir meno, sul piano della fattispecie concreta, della rilevanza della colpa.
2. - L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata é stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 124 del 7 maggio 1980. Nel susseguente giudizio davanti a questa Corte si é costituito l'I.N.P.S., la cui difesa ha rilevato che:
a) analoga questione é già stata riconosciuta infondata con la sentenza n. 14/1980;
b) i nuovi profili di illegittimità costituzionale identificati dal giudice a quo, non sembrano pertinenti alla normativa censurata, ma piuttosto a quella individuata come termine di raffronto, nella parte in cui non attribuisce pari trattamento al coniuge separato per colpa, indipendentemente dalla forma di tutela previdenziale prevista o dalla natura del rapporto di lavoro dell'altro coniuge ed indipendentemente dalla persistenza o meno del vincolo di coniugio.
Invero il riferimento allo stato di bisogno come condizione sia per l'erogazione dell'assegno alimentare a favore del coniuge, separato per colpa propria, del dipendente statale (art. 11 della legge n. 46/1958), sia per l'attribuzione al coniuge divorziato di una quota di pensione (art. 2 della legge n. 436/1978), induce a ravvisare in questi istituti forme particolari di intervento sostanzialmente assistenziale, non assimilabili al trattamento di riversibilità nell'ambito del nucleo familiare superstite, che costituisce oggetto di un diritto soggettivo perfetto diretto non ad eliminare uno stato di bisogno, ma a prevenirlo (Corte costituzionale n. 6/1980).
Pertanto, i possibili dubbi di illegittimità costituzionale debbono, a tutto concedere, investire le norme che, riconoscendo siffatti trattamenti assistenziali, non ne fanno applicazione a tutti i casi analoghi a quelli espressamente considerati, non anche quelle limitative, nel senso esposto, del trattamento di reversibilità in senso proprio.
3. - Il pretore di Genova, con ordinanza emessa l'8 gennaio 1980, ha sollevato analoga questione relativamente all'art. 23, quarto comma, della legge 18 agosto 1962, n. 1357 (sulla previdenza e assistenza per i veterinari), trattandosi anche nel procedimento davanti a lui della sussistenza o meno del diritto della vedova, già separata per sua colpa, di ottenere la pensione di riversibilità a seguito della morte del marito.
Il giudice a quo, in particolare, ha censurato detta norma, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui esclude il diritto a pensione del coniuge superstite nei cui confronti sia stata pronunziata sentenza di separazione legale per sua colpa o per colpa di entrambi i coniugi ed in quanto riserva un trattamento differenziato e deteriore ai coniugi separati prima dell'entrata in vigore della legge 19 maggio 1975, n. 151, rispetto a quelli separati successivamente. In via subordinata, ha prospettato la questione di illegittimità costituzionale della medesima norma, in relazione all'art. 29, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui, prevedendo l'esclusione suddetta, non fa eccezione per il caso in cui la colpa del coniuge sia stata individuata nel rifiuto della moglie di seguire il marito nella residenza unilateralmente da lui fissata.
Ritenuta la rilevanza delle questioni, in quanto la norma censurata non può ritenersi tacitamente abrogata a seguito della intervenuta soppressione dell'istituto della separazione per colpa, ha osservato che:
a) la pensione ai superstiti non ha natura successoria, perché spettante anche in caso di rinunzia all'eredità e regolata automaticamente da specifiche leggi previdenziali le quali, fra l'altro, disciplinano, in modo diverso dalle norme generali sulle successioni, il concorso fra più aventi diritto e la perdita del diritto stesso o pongono regole, almeno parzialmente incompatibili con quelle successorie (non trasmissibilità del diritto. Pertanto, non possono invocarsi quelle ragioni che, anche secondo il nuovo diritto di famiglia (art. 548 del c.c., modificato dall'art. 182 della legge n. 151/1975), giustificano un diverso trattamento, sul piano successorio, del coniuge separato con addebito rispetto a quello cui non sia stata addebitata la separazione;
b) acquistandosi, dunque, la pensione di riversibilità iure proprio da parte del beneficiario, in relazione a fatti oggettivi (stato di bisogno e riferibilità ad una determinata posizione previdenziale) il divieto della sua corresponsione in presenza di vicende attinenti a rapporti interpersonali ed estranee a tali fatti (quali sono quelle che hanno condotto al riconoscimento della colpa) viola doppiamente l'art. 3 della Costituzione, sia perché crea disparità di trattamento fra coniugi separati per colpa (anteriormente alla riforma del diritto di famiglia) e coniugi separati con addebito (dopo la riforma stessa), nei confronti dei quali non potrebbe operare lo stesso divieto; sia perché appare intrinsecamente irrazionale il rilievo preclusivo riconosciuto alle suddette vicende personali, rispetto ad un diritto causalmente ricollegabili ai suddetti fatti oggettivi: eloquente dimostrazione ne é l'evenienza che, per effetto di ciò, il coniuge assicurato si trova a dover versare contributi commisurati anche alla copertura del rischio della propria premorienza, senza che poi l'avente diritto possa fruire della prestazione;
c) é, inoltre, incoerente, col disposto dell'art. 38, secondo comma, Cost. la previsione della totale perdita di un diritto previdenziale per fatti del tutto estranei al rapporto assicurativo.
Sulla questione sollevata in via subordinata il giudice a quo ha rilevato che:
a) nel caso di specie la colpa del coniuge fu ravvisata nel suo rifiuto di seguire l'altro coniuge nella residenza da questi unilateralmente fissata; e ciò in base all'allora vigente art. 144 cod.civ. che, appunto, consentiva al marito di fissare la residenza ritenuta opportuna, facendo obbligo alla moglie di seguirlo nella stessa;
b) la norma già all'epoca contrastava con il principio dell'uguaglianza dei coniugi sancito dall'art. 29 della Costituzione e la modificazione successivamente dispostane dimostra che essa non poteva ricondursi fra i limiti legali di tale principio fatti salvi dallo stesso art. 29 a garanzia dell'unità familiare;
c) d'altra parte il giudicato formatosi nella fattispecie riguardo alla colpa rende irrilevante una questione di costituzionalità del citato art. 144 cod. civ. nella sua vecchia formulazione; ciò tuttavia, non toglie che la lesione del suddetto principio rilevi sotto l'angolo visuale proprio della norma istitutiva del divieto in questione, perché estendendosi esso a qualsiasi caso di separazione per colpa, perpetua l'illegittima disuguaglianza fra i coniugi sul piano dei loro diritti previdenziali.
4. - L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 201 del 23 luglio 1980.
Si é costituita la parte privata, depositando una memoria di contenuto sostanzialmente analogo alle argomentazioni svolte dal giudice a quo per motivare l'esposto dubbio di incostituzionalità.
Considerato in diritto
1. - I due ricorsi possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza, in quanto prospettano questione sostanzialmente identica.
2.1. - La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, n. 1 del d.l.l. 18 gennaio 1945, n. 39, nel testo sostituito dall'art. 7 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, e riprodotto nell'art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153, nella parte in cui esclude il diritto del coniuge superstite, separato per sua colpa con sentenza passata in giudicato, alla pensione di riversibilità. Esso violerebbe l'art. 3 della Costituzione perché:
a) discrimina il coniuge separato per colpa rispetto al coniuge divorziato al quale può essere riconosciuto il diritto ad una quota di detta pensione;
b) e rispetto al coniuge del dipendente statale al quale, nonostante la separazione per colpa, spetta, in caso di bisogno, un assegno alimentare;
c) sebbene la detta pensione abbia natura quali alimentare, da rilievo all'elemento della colpa che é irrilevante, invece, secondo le norme generali in materia di alimenti;
d) discrimina i coniugi separati prima della riforma del diritto di famiglia dai coniugi separati dopo, rispetto ai quali l'addebito della separazione non preclude il diritto a pensione di riversibilità.
2.2. - Il pretore di Genova dubita della legittimità costituzionale dell'art. 23, quarto comma, della legge 18 agosto 1962, n. 1357, perché sancendo l'esclusione del diritto del coniuge separato per colpa alla pensione di riversibilità violerebbe:
a) l'art. 3 della Costituzione, oltre che per le ragioni indicate dalla Corte di cassazione sub d), in quanto, esclusa la natura successoria delle pensioni di riversibilità, irrazionalmente attribuisce rilievo preclusivo a fatti soggettivi ed interpersonali estranei al rapporto previdenziale cui si ricollega il diritto alla pensione stessa;
b) l'art. 38 della Costituzione perché fatti di tal genere non possono far disconoscere la sussistenza del bisogno che, secondo tale norma, impone la somministrazione di adeguati mezzi economici;
c) infine, e subordinatamente alla declaratoria di infondatezza della questione così formulata, violerebbe l'art. 29, secondo comma, della Costituzione in quanto, non essendo escluso dai casi di separazione per colpa (preclusivi del diritto de quo) quello riconducibile al rifiuto della moglie di seguire il marito nella residenza da lui unilateralmente fissata, produrrebbe la lesione del principio di parità dei coniugi.
3. - La questione é fondata.
L'evoluzione dell'istituto della pensione di riversibilità e la più incisiva generalizzazione del principio di solidarietà (artt. 3 e 38 della Costituzione), come ritenuto anche da questa Corte (sent. n. 169/1986), l'espansione della linea di tendenza alla unificazione o, quanto meno, alla equiparazione dei regimi pensionistici dei lavoratori pubblici e privati, l'evoluzione della disciplina legislativa dei rapporti tra i coniugi in caso di scioglimento del matrimonio, di cui, per alcuni aspetti, si é occupata questa Corte (sent. n. 215/1985) in relazione al testo normativo allora vigente (legge n. 436/1978) però pressoché identico a quello ora in vigore (legge n. 74/1987), inducono ad una rimeditazione delle considerazioni svolte nella precedente sentenza (n. 14/1980) con cui é stata decisa la stessa questione.
3.1. - Anzitutto si rileva che il legislatore non ha affatto accolto l'invito, allora rivoltogli, di provvedere con apposita norma a soddisfare l'esigenza, anche allora considerata giusta, di attribuire al coniuge del lavoratore privato separato per colpa, ed ora con addebito della separazione, una pensione o una quota di pensione di riversibilità condizionata allo stato di bisogno: e ciò specialmente quando vi sia il riconoscimento in suo favore del diritto agli alimenti, tenuto conto del fatto che il settore pubblico, già prima della riforma del diritto di famiglia, prevedeva, a favore dello stesso coniuge separato per colpa, l'attribuzione di una quota della pensione di riversibilità (art. 81, quarto comma, e art. 88, quarto e quinto comma, del testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092 - Trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato).
3.2. - A maggiore specificazione di quanto genericamente rilevato, si osserva che la pensione di riversibilità appartenente al più ampio genus delle pensioni ai superstiti, é una forma di tutela previdenziale nella quale l'evento protetto é la morte, cioè, un fatto naturale che, secondo una presunzione legislativa, crea una situazione di bisogno per i familiari del defunto, i quali sono i soggetti protetti.
La disciplina, in un primo momento, é stata diversa per i soggetti del rapporto pubblico e per i lavoratori del settore privato.
Per gli uni la pensione era ritenuta dovuta per effetto della continuazione del rapporto di impiego; per gli altri conseguiva alla continuazione delle contribuzioni e la sua erogazione si giustificava come corrispettivo dei contributi versati da parte degli stessi lavoratori e dei datori di lavoro per l'attività di lavoro, che poteva essere stata anche discontinua e svolta alle dipendenze di diversi datori di lavoro.
In un primo momento, per il settore privato, la pensione di riversiblità é stata riconosciuta solo ad alcune categorie che erano in grado di sostenerne il costo; successivamente é stata generalizzata.
L'evoluzione legislativa ha dato, poi, al trattamento di cui si discute, un fondamento diverso dal precedente e sostanzialmente identico per i due settori, pubblico e privato.
La si considera, ormai, come una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell'interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l'effettivo godimento dei diritti civili e politici (art. 3, secondo comma, della Costituzione) con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale (art. 38, secondo comma, della Costituzione) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38, primo comma, della Costituzione).
Della solidarietà generale, in definitiva, fa parte quella solidarietà che si realizza quando il bisogno colpisce i lavoratori ed i loro familiari per i quali, però, non può prescindersi dalla necessaria ricorrenza dei due requisiti della vivenza a carico e dello stato di bisogno, i quali si pongono come presupposti del trattamento, così come ha ritenuto anche questa Corte (sentt. nn. 6 e 7 del 1980).
Per effetto della morte del lavoratore, la situazione pregressa della vivenza a carico subisce interruzione, ma il trattamento di riversibilità realizza la garanzia della continuità del sostentamento ai superstiti.
Questa stessa Corte ha riconosciuto (sent. n. 213/1985) anche alla indennità di buonuscita la stessa funzione previdenziale, con l'esigenza della ricorrenza dei suddetti presupposti, e l'ha ritenuta spettante anche al coniuge separato per colpa o con addebito della separazione, parificando le due situazioni, quella della separazione per colpa, precedente alla riforma del diritto di famiglia, e quella della separazione con addebito nell'attuale regime.
Pertanto, le norme censurate non solo non sono state abrogate a seguito della modifica operata dal nuovo regime con l'introduzione dell'istituto della separazione con addebito, ma esse trovano applicazione anche in danno del coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata la separazione con addebito.
4. - Si ribadisce che la nozione di famiglia, presa in considerazione dal regime generale previdenziale e da quello specifico del settore di cui ci si occupa, non é quella ristretta alla famiglia che si costituisce con il matrimonio, con i vincoli di consanguineità e di affinità. La tutela previdenziale riguarda anche quei rapporti assistenziali che si atteggiano in modo simile a quelli familiari a condizione che il lavoratore defunto provvedesse in vita, in via non occasionale, al sostentamento di soggetti classificabili come "familiari".
Si comprendono nella famiglia "previdenziale" anche le persone legate da vincoli di affiliazione e di adozione, i figli legalmente riconosciuti o legalmente dichiarati, i figli naturali ed anche i fratelli celibi e le sorelle inabili al lavoro.
Non si richiede essenzialmente nemmeno la convivenza. Invero la convivenza non esclude la possibile autonomia socio-economica del soggetto che, pertanto, non beneficia del trattamento previdenziale, mentre la mancanza di convivenza non esclude anche la sopportazione del carico. Quello che si richiede é proprio quest'ultima condizione, intendendosi per "vivenza a carico" la cura del sostentamento del "familiare" in modo continuativo e non occasionale, in adempimento di uno specifico obbligo giuridico o di un mero dovere.
Ora, proprio i suddetti principi hanno ispirato quelle norme che nel settore pubblico assicurano anche al coniuge separato per colpa ed in stato di bisogno una quota della pensione di riversibilità del coniuge defunto; hanno determinato la previsione legale, a favore del coniuge divorziato, di un assegno la cui entità é determinata proprio tenendosi conto, oltre che del contributo dato alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio, dello stato di bisogno e delle condizioni economiche nonché della responsabilità per la rottura del matrimonio.
Invero, l'assegno ha una natura complessa ma esso oltre che risarcitorio ed indennitario é anche assistenziale.
Nel caso della morte dell' ex coniuge pensionato, a carico del quale sussisteva l'obbligo della somministrazione dell'assegno, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 898/1970, si é specificamente previsto (art. 9 della stessa legge n. 898 nel testo novellato dalla legge n. 436/1978 ed ora dalla legge n. 74/1987), a favore dell'altro ex coniuge, non passato a nuove nozze, titolare ancora del suddetto assegno, privo di mezzi adeguati e non in grado di procurarseli per ragioni oggettive, e sempre che abbia i requisiti per la pensione di riversibilità, l'attribuzione dell'intera pensione o di una parte di essa, se non concorre con l'altro coniuge o con i figli, o altrimenti di una parte della stessa, tenuto conto, tra l'altro, anche della durata del rapporto matrimoniale.
I detti trattamenti si giustificano anche con il riferimento a quella particolare solidarietà che si crea tra persone già legate dal vincolo del coniuge e che può continuare ad avere effetti rilevanti anche dopo lo scioglimento del matrimonio, proprio per la lata nozione di famiglia.
5. - É, quindi, evidente che le norme censurate, le quali escludono dall'attribuzione della pensione di riversibilità, in tutto o in parte, il coniuge separato per colpa o con addebito della separazione, contrastano con i precetti costituzionali invocati (artt. 3 e 38 della Costituzione) e creano una evidente disparità di trattamento sia rispetto al coniuge divorziato sia rispetto al coniuge del dipendente statale.
Pertanto devesi dichiarare la illegittimità costituzionale delle norme censurate nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di riversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato.
6. - A seguito dell'accoglimento della questione principale, va dichiarata assorbita la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, quarto comma, della legge 18 agosto 1962, n. 1357, sollevata in via subordinata dal pretore di Genova, in riferimento all'art. 29 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale:
a) dell'art. 1 del d.l.l. 18 gennaio 1945, n. 39 (Disciplina del trattamento di riversibilità delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità e la vecchiaia) nel testo sostituito dall'art. 7 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti) e riprodotto nell'art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale);
b) dell'art. 23, quarto comma, della legge 18 agosto 1962, n. 1357 (Riordinamento dell'ente nazionale di previdenza ed assistenza dei veterinari); nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di riversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1987.
Il Presidente: SAJA
Il Redattore: GRECO
Depositata in cancelleria il 28 luglio 1987.
Il direttore della cancelleria: MINELLI