Eureka Previdenza

Rendita vitalizia lavoro dipendente

La prova della durata e continuità della prestazione lavorativa

(circ.78/2019)

L’omissione contributiva lamentata deve essere dimostrata fornendo la prova dell’esistenza del rapporto di lavoro, dell’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa nel periodo per il quale si chiede la costituzione di rendita vitalizia, della qualifica posseduta nel periodo e della misura della retribuzione.

Al riguardo, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 568/1989, salva la necessità di provare l’esistenza del rapporto di lavoro nei termini descritti al paragrafo 2 della presente circolare, gli altri aspetti, quali durata, continuità della concreta prestazione lavorativa e qualifica, possono essere provati anche con “altri mezzi di prova”.   

Si precisa che non è richiesta l’ulteriore prova della continuità della prestazione lavorativa nei casi in cui il documento che provi l’esistenza del rapporto di lavoro attesti anche la presenza del lavoratore sul luogo di lavoro o la maturazione del diritto alla retribuzione per il periodo richiesto (ad esempio, buste paga, estratti libri presenza, ecc.).  

Rendita vitalizia lavoro dipendente

La prova della durata e continuità della prestazione lavorativa

(circ.78/2019)

L’omissione contributiva lamentata deve essere dimostrata fornendo la prova dell’esistenza del rapporto di lavoro, dell’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa nel periodo per il quale si chiede la costituzione di rendita vitalizia, della qualifica posseduta nel periodo e della misura della retribuzione.

Al riguardo, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 568/1989, salva la necessità di provare l’esistenza del rapporto di lavoro nei termini descritti al paragrafo 2 della presente circolare, gli altri aspetti, quali durata, continuità della concreta prestazione lavorativa e qualifica, possono essere provati anche con “altri mezzi di prova”.   

Si precisa che non è richiesta l’ulteriore prova della continuità della prestazione lavorativa nei casi in cui il documento che provi l’esistenza del rapporto di lavoro attesti anche la presenza del lavoratore sul luogo di lavoro o la maturazione del diritto alla retribuzione per il periodo richiesto (ad esempio, buste paga, estratti libri presenza, ecc.).  

La prova della durata e della continuità della concreta prestazione lavorativa. La testimonianza

La prova della durata e della continuità della concreta prestazione lavorativa. La testimonianza

Raramente la prova documentale sull’esistenza del rapporto di lavoro è idonea anche a dimostrare l’effettivo svolgimento della concreta prestazione lavorativa nel periodo in cui si lamenta l’omissione contributiva.     

In genere l’interessato intende coprire dei vuoti contributivi collocati all’interno di periodi di lavoro documentalmente accertati. Poiché tali vuoti contributivi potrebbero discendere da assenze del lavoratore non assicurabili, è necessario che sia fornita una prova attendibile e precisa circa l’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa proprio in quei periodi. In altri casi, inoltre, l’interessato vuole provare lo svolgimento effettivo della prestazione anche in periodi antecedenti ovvero successivi a quelli documentalmente accertati. A tali scopi, il mezzo di prova a cui più spesso ricorrono gli interessati è quello della testimonianza.

L’uso e la valutazione della testimonianza rientra fra i profili più critici dell’istruttoria in materia di costituzione di rendita vitalizia. La prova con mezzi orali della durata dello svolgimento della prestazione lavorativa può, di fatto, risolversi in uno svilimento della prova documentale sull’esistenza del rapporto di lavoro per mezzo di uno sforzo mnestico del testimone, talora assai rilevante quando non improbabile.

Preso atto che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 568/1989, il rilievo in questione non può comportare l’esclusione a priori della prova testimoniale, è necessario che l’uso e la valutazione di questo mezzo di prova sia assistito da cautele, da adottarsi in via amministrativa, riguardanti tanto il  contenuto e la forma della dichiarazione testimoniale quanto la persona stessa del testimone, affinché l’uso della testimonianza non si risolva in un sovvertimento del principio di prova scritta certa dell’esistenza del rapporto di lavoro.

Riscontri, soggetti e valutazione della testimonianza

  • Conoscenza diretta e riscontrabilità
    Il testimone deve rappresentare fatti oggetto della propria percezione diretta e dunque deve anche attestare le ragioni di come sia venuto a conoscenza di tali fatti in modo da offrire elementi di riscontro. Tali elementi di riscontro devono quindi orientare l’esame della dichiarazione; pertanto, quando tali riscontri non siano neanche potenzialmente effettuabili, le dichiarazioni non possono essere utilizzate.
  • Soggetti
    Fermo quanto detto, potranno essere valutate le dichiarazioni rilasciate dai seguenti soggetti:
    • colleghi di lavoro regolarmente assicurati nel periodo per il quale rendono testimonianza;
    • datore di lavoro.

          Per le rendite vitalizie nella gestione CD/CM, in considerazione della specificità e delle condizioni di effettuazione dell’attività agricola, possono essere valutate le dichiarazioni rilasciate dai seguenti soggetti:

  • dipendenti dell’azienda agricola di appartenenza del richiedente, regolarmente assicurati per l’intero periodo per il quale viene chiesto il riscatto;
  • iscritti nel periodo di riferimento in qualità di CD/CM o operai agricoli regolarmente assunti presso l’azienda confinante con quella dove si assume che il richiedente abbia prestato l’attività di collaboratore, regolarmente assicurati per l’intero periodo; deve quindi trattarsi di “azienda confinante”, non essendo sufficiente la semplice “vicinanza”. Tale prova, a carico del richiedente, può essere fornita con una relazione tecnica asseverata;
  • familiari che siano titolari o collaboratori nel nucleo diretto coltivatore nel periodo oggetto di riscatto.

Le dichiarazioni di altri soggetti (fornitori, acquirenti abituali) possono essere utilizzate solo e soltanto se suffragate da idonea documentazione dell’epoca, che comprovi rapporti diretti continuativi e abituali con l’azienda agricola di appartenenza del richiedente nel periodo chiesto a riscatto.

Per le rendite vitalizie nella gestione ART/COM possono essere valutate le dichiarazioni rilasciate dai seguenti soggetti:

  • dipendenti dell’impresa artigiana o commerciale di appartenenza del richiedente nel periodo per il quale viene chiesto il riscatto, regolarmente assicurati per l’intero periodo;
  • familiari che siano titolari o collaboratori nell’impresa nel periodo oggetto di riscatto;

Le dichiarazioni dei fornitori possono essere utilizzate esclusivamente se suffragate da idonea documentazione dell’epoca che comprovi rapporti diretti, continuativi e abituali con l’azienda di appartenenza del richiedente nel periodo chiesto a riscatto.

Per le rendite vitalizie nella gestione ART/COM non possono essere utilizzate dichiarazioni rese da vicini di casa, né da clienti anche abituali dell’impresa, né da soggetti che assumono di essere stati lavoratori presso aziende poste nelle immediate vicinanze della sede di lavoro del richiedente.

  • Valutazione della credibilità e plausibilità della testimonianza

Come già illustrato con la circolare n. 183/1990, è la credibilità/plausibilità della testimonianza che può far ritenere raggiunta la prova sulla durata continuativa e non interrotta della prestazione lavorativa.

La testimonianza deve dunque essere sempre sottoposta ad una valutazione critica nel contesto dell’intera documentazione e dei riscontri al fine di verificare l’assenza di contraddizioni fra quanto dichiarato e le risultanze documentali o le evidenze rilevabili dall’estratto contributivo (assenze, attività lavorative incompatibili con quanto dichiarato, ecc.), nonché la coerenza e compatibilità fra le ragioni che giustificherebbero la presenza del testimone sul luogo di lavoro e quanto da esso dichiarato in merito alla durata e continuità della prestazione lavorativa chiesta a riscatto. Le suddette valutazioni non dovranno riguardare il solo periodo oggetto di costituzione di rendita vitalizia, ma l’intero arco temporale per il quale si rende testimonianza.

Contenuto e forma della testimonianza

Il nucleo della dichiarazione testimoniale, diretto a dimostrare l’omissione contributiva, deve contenere l’attestazione della durata continuativa e non interrotta della concreta prestazione lavorativa resa dall’interessato. Il testimone deve dichiarare le mansioni che ha visto svolgere al lavoratore nel periodo oggetto di istanza. Il periodo a cui si riferisce la dichiarazione deve essere individuato e devono essere riportate eventuali assenze effettuate dall’interessato alla rendita vitalizia.

La dichiarazione testimoniale deve essere resa espressamente ai sensi degli articoli 38 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, con piena assunzione di responsabilità, anche di natura penale. Chi rende la dichiarazione testimoniale deve dichiarare eventuali rapporti di coniugio, unione civile o convivenza di cui alla legge n. 76 del 2016, parentela, affinità, affiliazione, dipendenza con la parte interessata ovvero eventuali interessi nei fatti sui quali rende la propria dichiarazione. Il testimone deve inoltre dichiarare gli elementi di fatto che diano ragione di come sia venuto a conoscenza di quanto attestato in modo da offrire elementi di riscontro.

Retrodatazione e postdatazione della prestazione lavorativa rispetto al documento del rapporto di lavoro. Applicabilità del messaggio n. 23295/2006 a tutti i fondi in cui sia possibile chiedere la costituzione della rendita vitalizia. Precisazioni in materia di collaboratori del nucleo diretto coltivatore diversi dal titolare

Con il messaggio n. 23295/2006 sono stati forniti i chiarimenti relativi al caso in cui con la testimonianza si intenda retrodatare o postdatare un rapporto di lavoro documentalmente provato, che di seguito si riepilogano.

La giurisprudenza della Corte di cassazione è ripetutamente intervenuta sull’utilizzo della testimonianza come strumento per provare che un rapporto di lavoro si è svolto anche in epoca precedente o successiva rispetto a quella risultante da documento di data certa pervenendo, progressivamente, a un orientamento ispirato ad un rigoroso rispetto dei principi dettati in materia di onere probatorio. La Suprema Corte ha infatti escluso che le prove testimoniali possano essere utilizzate per anticipare o posticipare l’esistenza di un rapporto di lavoro non controverso le cui date di inizio e fine siano documentalmente accertate. Ciò sul presupposto che l’accoglimento della tesi opposta avrebbe, di fatto, comportato una svalutazione integrale della necessità della prova scritta sull’esistenza del rapporto di lavoro fissata dalla legge e ribadita dalla sentenza della Corte costituzionale n. 568/1989, consentendo alla testimonianza di prevalere sul documento, annullandone l’efficacia probatoria qualificata.

In particolare, la Corte di cassazione (cfr. le sentenze n. 14504/2005, n. 840/2005, n. 3085/2001 e n. 1778/2001) ha chiarito che la regola secondo la quale la durata del rapporto di lavoro può essere provata con ogni mezzo, introdotta dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 568/1989, non può essere estesa all’ipotesi in cui “la data del documento è certa ed è certa, altresì, in base al contenuto del documento stesso, l’epoca di costituzione del rapporto”.

Ciò premesso, le dichiarazioni testimoniali non possono essere utilizzate per retrodatare l’inizio o posticipare la fine di un rapporto di lavoro quando il documento che prova l’esistenza del rapporto indica in modo non equivoco la data di inizio e fine dello stesso, poiché, altrimenti, sarebbe una prova in contrasto con il documento, di cui annullerebbe dunque l’efficacia probatoria.

A titolo esemplificativo si riportano le seguenti ipotesi:

  • documento di data certa che riporti date di inizio e fine del rapporto di lavoro (ad esempio il libretto di lavoro, che ha una propria data di rilascio e che nelle registrazioni cronologiche contiene le date di inizio e di fine del rapporto di lavoro): in questa ipotesi le dichiarazioni testimoniali saranno utili per coprire eventuali vuoti contributivi lamentati dal lavoratore e collocati fra le date di inizio e fine del rapporto di lavoro indicate nel libretto, ma non potranno né posticipare né anticipare lo svolgimento della prestazione lavorativa rispetto alle date di inizio e fine del rapporto di lavoro indicate nel documento;
  • documento di data certa che riporti solo la data di inizio del rapporto di lavoro: è possibile utilizzare le dichiarazioni al fine di stabilire la durata e continuità della prestazione lavorativa a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro, ma non per anticiparne lo svolgimento rispetto a detta data;
  • documento di data certa che riporti solo la data di fine del rapporto di lavoro: è possibile utilizzare le dichiarazioni al fine di stabilire la durata e continuità della prestazione lavorativa nei periodi precedenti alla data di fine del rapporto di lavoro, ma non per posticiparne lo svolgimento rispetto a detta data;
  • documento di data certa che provi soltanto che il rapporto era esistente al tempo di formazione del documento senza indicarne né le data di inizio né le data di fine: è possibile utilizzare le dichiarazioni per determinare l’effettiva durata e continuità della prestazione lavorativa.

I criteri illustrati sono applicabili a tutti i fondi in cui sia possibile chiedere la costituzione della rendita vitalizia.

In particolare, per quanto riguarda i collaboratori del nucleo diretto coltivatore diversi dal titolare, al paragrafo 3 della circolare n. 10/2004 è stato chiarito che la prova documentale può avvalorare l’esistenza del rapporto di lavoro esclusivamente dalla data di emissione della medesima e non per periodi precedenti. Poiché, come rappresentato, è necessario distinguere fra data certa di emissione/redazione del documento e date di inizio e fine del rapporto di lavoro in esso riportate, il principio espresso al citato paragrafo 3 deve ritenersi superato. Fermo, dunque, il principio imprescindibile secondo cui la prova dell’esistenza del rapporto di lavoro deve essere fornita con documenti che abbiano data certa di emissione/redazione, il rapporto fra questa e le testimonianze va regolato, anche per i collaboratori del nucleo coltivatore diversi dal titolare, in base ai principi del messaggio n. 23295/2006 sopra riportati ed esemplificati.

Inoltre, per i collaboratori del nucleo coltivatore diversi dal titolare, in assenza di ulteriore documentazione a supporto della testimonianza, questa non potrà posticipare o anticipare il rapporto di collaborazione rispetto a quanto risultante dall’estratto contributivo. Ciò in ragione della particolare efficacia degli elenchi presi a base per la costruzione dell’estratto contributivo; in tali termini va dunque integrato quanto già espresso al paragrafo 4, ultimo capoverso, della circolare n. 36/2003.     

Principi di collegamento. Impresa esistente ed attiva

Nelle ipotesi in cui i testimoni siano colleghi di lavoro, questi devono essere regolarmente assicurati per il lavoro svolto effettivamente durante tutto il periodo cui si riferisce la testimonianza. Nei casi in cui testimonino fornitori o acquirenti, è necessario che siano riscontrati rapporti diretti, abituali e continuativi fra azienda e testimone per tutto il periodo oggetto di riscatto.

La circolare n. 183/1990 enuncia, inoltre, due fondamentali principi per il caso in cui con la testimonianza si voglia provare l’effettiva durata della prestazione lavorativa rispetto al periodo di lavoro, comprovato dal documento dell’esistenza del rapporto di lavoro. Si evidenzia che tali principi, di seguito elencati, presuppongono che la prova della durata del rapporto lavorativo mediante testimonianza sia astrattamente possibile in base ai principi di cui al precedente paragrafo retrodatazione e postdatazione:

  • la dichiarazione di conoscenza attestante il dilatarsi nel tempo di un rapporto di lavoro, del quale con prova documentale sia stata dimostrata l'esistenza in un dato momento, deve soddisfare la condizione della mancanza di soluzione di continuità tra la data documentalmente dimostrata e il periodo testimoniato (primo principio di collegamento – collegamento fra periodo dichiarato e periodo documentato);
  • qualora sia documentalmente accertata l'esistenza di un rapporto di lavoro in una determinata data, la testimonianza in tal senso resa da un collega di lavoro in attività per l'intero periodo può essere ritenuta idonea a dimostrare il protrarsi del rapporto fino ad un momento successivo, mentre non altrettanto idonea è da ritenere la dichiarazione di conoscenza di un lavoratore che sia stato assunto in epoca successiva alla data documentalmente accertata. Tale ultima testimonianza non risulta nemmeno idonea a fornire la prova del rapporto di lavoro a partire dalla data di assunzione in servizio del testimone in quanto, rilevandosi una soluzione di continuità tra quest’ultima data e quella documentalmente accertata, non risulta dimostrato che si tratti dello stesso rapporto di lavoro invece che di due distinti rapporti intervallati da un periodo di inattività, per cui la prova testimoniale non può essere supportata da quella documentale (secondo principio di collegamento – collegamento fra periodo documentato e periodo di presenza del testimone sul luogo di lavoro).

I due principi sono applicabili, mutatis mutandis, ai casi in cui si voglia protrarre il rapporto di lavoro ad un momento successivo ovvero anticiparlo ad un momento precedente rispetto a quanto documentalmente accertato.

Nei casi in cui siano ammesse testimonianze di soggetti che non sono stretti colleghi di lavoro, il secondo principio di collegamento va verificato anche in relazione alla ragione specifica che il testimone assume di porre a fondamento della propria presenza presso l’azienda dell’interessato (a titolo esemplificativo, proprietà del fondo confinante, rapporti diretti, continuativi ed abituali).

Non è ammessa, infine, la costituzione di rendita vitalizia per periodi in cui il preteso datore di lavoro non risulti esistente ed attivo o per periodi in cui il datore di lavoro sia stato cancellato dagli elenchi CD/CM.  

Con riferimento alla Gestione previdenziale degli esercenti attività commerciali, si rinvia alla circolare n. 78/2006, in ordine alla sussistenza dell’obbligo assicurativo dei coadiutori familiari di titolari d’impresa non iscrivibili alla predetta Gestione.

Principio del vuoto contributivo assoluto

Quando il documento dell’epoca attesta inequivocabilmente sia la data di inizio sia la data di fine del rapporto di lavoro e il periodo intercorrente fra tali date è completamente scoperto di contribuzione, in via del tutto eccezionale, per tale lasso temporale, si ritiene di poter presumere l’omissione contributiva totale e dunque non sono richiesti ulteriori elementi di prova circa lo svolgimento della prestazione lavorativa.

Per poter applicare il principio in parola, tuttavia, è necessario che la data di inizio e la data di fine del rapporto di lavoro siano contenute nel medesimo documento. Ad esempio, ciò ricorre quando il libretto di lavoro riporti la data di inizio e la data di fine del rapporto di lavoro ovvero quando una lettera di ben servito indichi sia la data di inizio sia la data di fine del rapporto; viceversa ciò non ricorre se la sola data di inizio del rapporto si evinca da un documento e la sola data di fine del rapporto da un altro documento e dal contenuto degli stessi non si evinca in modo inequivoco che si tratti di un unico rapporto lavorativo piuttosto che di più rapporti intervallati da periodi di inattività.

Si evidenzia, inoltre, che il principio del vuoto contributivo assolutonon può essere applicato se nel lasso temporale fra le due date risultino documentati intervalli in cui sia stata resa la prestazione lavorativa. In tale circostanza, ferma restando la riconoscibilità della rendita limitatamente a tali intervalli, per la restante parte del periodo compreso fra le due date dovranno essere esibite idonee prove dell’omissione contributiva.     

Durata e continuità della prestazione lavorativa nel lavoro a domicilio. Esclusione della testimonianza

Durata e continuità della prestazione lavorativa nel lavoro a domicilio.  Esclusione della testimonianza

Considerata la particolarità del lavoro a domicilio, la durata e la continuità della prestazione lavorativa devono essere provati attraverso i documenti propri del rapporto attestanti le date di consegna e riconsegna del materiale (il libretto di controllo, ora libro unico del lavoro, previsto dall’articolo 10 della legge n. 264 del 1958 e dall’articolo 10 della legge n. 877 del 1973, e successive modificazioni ed integrazioni). Il documento dovrà presentare i requisiti di forma previsti dalle disposizioni vigenti nel periodo di riferimento.

Tale documento deve indicare, fra l’altro, data e ora di consegna e riconsegna del lavoro, e costituisce, pertanto, essenziale e specifica fonte di conoscenza della durata e continuità della prestazione lavorativa, non surrogabile dalle dichiarazioni testimoniali.

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