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Circolare 244 dell'11 Ottobre 1991
OGGETTO: Applicazione retroattiva di sentenze della Corte
Costituzionale. Articolo 6 del D.L. 29 marzo 1991, n.103,
convertito nella legge 1 giugno 1991, n.166.
La Gazzetta Ufficiale n. 127 del 1 giugno 1991 ha
pubblicato la legge 1 giugno 1991, n.166, di conversione del D.L.
29 marzo 1991, n.103.
L'articolo 6 della citata legge dispone:
"1. I termini previsti dall'articolo 47 , commi secondo e terzo, del
decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n.639, sono
posti a pena di decadenza per l'esercizio del diritto alla
prestazione previdenziale. La decadenza determina l'estinzione del
diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e
l'inammissibilita' della relativa domanda giudiziale. In caso di
mancata proposizione di ricorso amministrativo, i termini decorrono
dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 hanno efficacia retroattiva, ma
non si applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata
in vigore del presente decreto."
L'articolo 6, nel fornire l'interpretazione autentica
dell'articolo 47 del D.P.R. n.639/1970, ha inteso fare chiarezza
sulla natura del termine per la proponibilita' dell'azione
giudiziaria e sugli effetti conseguenti al vano decorso del termine
stesso per le controversie in materia, rispettivamente, di
trattamenti pensionistici (comma secondo) e di prestazioni contro la
tubercolosi e la disoccupazione involontaria (comma terzo).
In materia pensionistica, la problematica connessa al
disposto dell'articolo 47, secondo comma, del D.P.R. n.639, ha
assunto, come e' noto, particolare rilevanza ed ha determinato la
instaurazione di un cospicuo contenzioso in sede di applicazione
retroattiva di sentenze della Corte Costituzionale che hanno
riconosciuto il diritto all'integrazione al trattamento minimo, ai
sensi della normativa previgente alla legge n.638/1983, ai titolari
di piu' pensioni.
1 - Criteri seguiti anteriormente alla emanazione della legge
n.166/1991.
L'Istituto, basandosi su una consolidata giurisprudenza
costituzionale ed ordinaria, si e' attenuto al criterio di estendere
gli effetti retroattivi delle sentenze della Corte Costituzionale
alle sole situazioni giuridiche non esaurite alla data di
presentazione delle relative domande.
Sono state, pertanto, escluse dalla applicazione
retroattiva le situazioni insuscettibili di essere rimosse o
modificate, sia a seguito di sentenze negative del diritto passate
in giudicato o di atti negoziali ad effetti interamente esauriti
(transazione, rinuncia) sia per effetto di decisioni amministrative
divenute definitive per essere vanamente decorso il termine per la
esperibilita' dell'azione giudiziaria ex articolo 47, secondo comma,
del D.P.R. 30 aprile 1970, n.639.
Il suddetto criterio ha trovato esplicita conferma al punto
3 della deliberazione del Consiglio di Amministrazione n.17 del 20
febbraio 1987 adottata per l'applicazione della sentenza della Corte
Costituzionale n.314/1985 la quale, com'e' noto, ha eliso totalmente
dalla normativa previgente alla legge n.638/1983 la disposizione che
limitava il diritto alla integrazione al trattamento minimo delle
pensioni a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti in
presenza di altre pensioni.
In applicazione di detto criterio con circolare n. 60117
A.G.O. del 9 marzo 1987 e' stato precisato al punto 3.2.1. che non
erano accoglibili le domande intese ad ottenere la integrazione al
minimo in applicazione retroattiva della sentenza n.314/1985 qualora
alla data di presentazione risultasse vanamente trascorso il termine
decennale per la esperibilita' dell'azione giudiziaria previsto
dall'articolo 47, secondo comma, del D.P.R. n.639/1970, decorrente
dalla data del definitivo provvedimento di liquidazione della
pensione non integrata o del provvedimento di revoca
dell'integrazione in precedenza corrisposta.
Lo stesso criterio e' stato seguito per l'attuazione delle
successive sentenze con le quali la Corte Costituzionale si e'
pronunciata sul diritto all'integrazione al minimo delle pensioni a
carico delle Gestioni speciali per i lavoratori autonomi coesistenti
con altre pensioni.
2 - Criteri stabiliti dalla sentenza della Corte di Cassazione,
Sezioni Unite, n.6245 del 21 giugno 1990.
In relazione ai numerosi provvedimenti di rigetto delle
domande di integrazione per carenza della condizione pregiudiziale
di pendenza del rapporto previdenziale determinata dal vano decorso
del termine per l'esperibilita' dell'azione giudiziaria, si sono
avute pronunce non univoche della Corte di Cassazione sulla natura,
decadenziale o prescrizionale, del termine previsto dall'articolo
47, secondo comma, del D.P.R. n.639/1970 e sugli effetti conseguenti
alla mancata proposizione del ricorso giudiziario.
Sulla materia si sono, quindi, pronunciate le Sezioni Unite
della stessa Corte di Cassazione che con la sentenza n.6245/1990
hanno riconosciuto al termine decennale per la esperibilita'
dell'azione giudiziaria natura decadenziale anche se tale non e'
esplicitamente qualificato ed anche se la durata del termine di
decadenza e' di norma piu' breve di quello decennale previsto
dall'articolo 47 del D.P.R. n.639/1970 in materia di trattamenti
pensionistici.
I giudici hanno infatti considerato che in presenza di un
termine non definito nella sua natura deve valutarsi la funzione che
esso adempie nel particolare sistema normativo in cui e' inserito.
In tale contesto il disposto dell'art. 47 del D.P.R.
639/1970, al pari dell'analoga disposizione dell'art. 58 della legge
n. 153/1969 da esso assorbito, svolge la stessa funzione della
previgente normativa contenuta nell'art. 2 della legge n. 18/1957
che, a parte la diversa durata del termine, definiva "perentorio" il
termine di cinque anni decorrente dall'effettivo o teorico
esaurimento della fase amministrativa per la proposizione
dell'azione giudiziaria.
La sentenza n. 6245 ha, inoltre, affermato il principio che
il decorso del termine decennale dall'esaurimento della fase
amministrativa, senza che sia stata proposta la domanda giudiziale
per l'accertamento del diritto a specifiche prestazioni
pensionistiche, non determina la perenzione del diritto sostanziale
alle prestazioni stesse ma, senza possibilita' di interruzione o
sospensione, priva l'interessato del diritto di conseguire la
pronuncia giudiziale sulla connessa domanda amministrativa,
determinandone la caducazione. Per conseguire l'accertamento
giudiziale l'assicurato deve, quindi, presentare una nuova domanda
all'INPS, avviando una nuova procedura amministrativa, presupposto
di procedibilita' dell'azione giudiziaria ex art. 8 della legge 11
agosto 1973, n. 533.
Secondo la Suprema Corte, peraltro, il diritto alle
prestazioni pensionistiche non liquidate e' indipendente dalla
decadenza dalla esperibilita' dell'azione giudiziaria ex art. 47 del
DPR n. 639/1970 . Su tale diritto incide solo la prescrizione per le
prestazioni dovute per periodi anteriori alla data di presentazione
della domanda; nella specie, non disponendo diversamente le leggi
speciali, opera la prescrizione ordinaria decennale di cui all'art.
2946 del codice civile, fermi restando, secondo la comune disciplina
codicistica, gli effetti di eventuali atti interruttivi di cui
all'art. 2943.
Secondo la Corte di Cassazione, il suddetto principio trova
piena applicazione anche in tema di integrazione al trattamento
minimo, essendo questa una componente non ancora liquidata della
pensione, dovuta retroattivmaente in conseguenza dell'effetto
totalmente ablatorio delle sentenze della Corte Costituzionale che
fanno venire meno, in tutto o in parte, la norma ostativa alla
integrazione stessa fin dalla sua emanazione.
3 - Articolo 6 della legge n. 166/1991
Nella materia e' intervenuto il legislatore, da ultimo con
l'articolo 6 del D.L. 29 marzo 1991, convertito nella legge
n.166/1991.
La formulazione dell'articolo 6 pone non lievi difficolta'
interpretative ed applicative.
Le varie problematiche connesse sono state illustrate ai
competenti Organi dell'Istituto con la indicazione dei criteri
applicativi ritenuti piu' idonei.
Cio' premesso, si forniscono i seguenti chiarimenti circa
il contenuto della norma ed i criteri di attuazione della stessa.
Il disposto dell'articolo 6 della legge n. 166/1991 ha
qualificato di natura decadenziale i termini previsti dall'articolo
47 del D.P.R. n. 639/1970, specificando, inoltre, che la decadenza
determina l'inammissibilita' della domanda giudiziale e l'estinzione
del diritto ai ratei pregressi.
Al termine in questione, quindi, la norma di legge
riconosce espressamente la natura di decadenza sostanziale, oltre
che procedimentale, confermando in tal modo il criterio gia'
adottato dall'Istituto.
E' da osservare, peraltro, che la citata disposizione,
presumibilmente dettata dall'esigenza di regolamentare
l'applicazione retroattiva di sentenze della Corte Costituzionale
che possono incidere retroattivamente sulla misura della pensione
gia' liquidata, come e' il caso dell'integrazione al minimo non
spettante all'epoca della liquidazione, per l'ampiezza della sua
formulazione letterale potrebbe dar luogo ad interpretazioni diverse
riflettentisi sulla portata di altre norme i cui criteri di
applicazione non sono, invece, in discussione.
Si ritiene, quindi, opportuno precisare che la disposizione
concernente l'estinzione del diritto ai ratei pregressi non incide
sugli effetti retroattivi previsti da specifiche norme di legge.
Pertanto, nell'ipotesi di prestazioni dovute per periodi anteriori
alla data di presentazione della relativa domanda di prestazione
(quale e' il caso, ad esempio, della pensione ai superstiti la cui
decorrenza e' stabilita di norma al mese successivo a quello di
decesso del dante causa, e della pensione di vecchiaia la cui
decorrenza, salvo diversa indicazione del richiedente, e' stabilita
al mese successivo a quello di perfezionamento dei requisiti) al
richiedente sono dovuti, se spettanti, i ratei precedenti alla data
di presentazione della domanda, nei limiti, ovviamente, della
prescrizione decennale, indipendentemente dalla circostanza che la
domanda sia successiva ad altra per la quale si sia verificata la
decadenza prevista dall'articolo 6 della legge n. 166/1991.
Nel caso, invece, di domande intese ad ottenere, in
applicazione di sentenze della Corte Costituzionale, una diversa
misura della pensione gia' liquidata, per effetto del disposto del
citato articolo 6 non puo' riconoscersi il diritto alle differenze
di rate per periodi precedenti alla domanda, qualora questa risulti
presentata successivamente alla scadenza del termine decennale per
la proposizione dell'azione giudiziaria decorrente dalla data in cui
e' divenuto definitivo il provvedimento di liquidazione della
pensione nella misura all'epoca dovuta in base alla normativa poi
dichiarata incostituzionale.
Altra precisazione richiede il disposto dell'articolo 6,
ultimo periodo, del comma 1, secondo il quale, in caso di mancata
proposizione di ricorso amministrativo, i termini per l'azione
giudiziaria previsti dall'articolo 47 del D.P.R. n. 639/1970
decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei.
Al riguardo va tenuto presente che in materia di
prestazioni a carattere continuativo, quali i trattamenti
pensionistici, il diritto ai singoli ratei sorge allorquando il
diritto a pensione, astrattamente esistente al verificarsi dei
presupposti di legge e indipendentemente dalla presentazione della
relativa domanda, si concretizza nel suo contenuto patrimoniale a
seguito della presentazione e dell'accoglimento della domanda
stessa, con il riconoscimento del diritto alla erogazione dei
singoli ratei. In definitiva, quindi, ai sensi della richiamata
disposizione i termini in questione devono intendersi decorrenti
dalla data di liquidazione della prestazione.
Deve, pertanto, escludersi una diversa interpretazione
intesa a collegare il momento iniziale del decorso del termine di
decadenza a quello del maturare del diritto a ciascun singolo rateo.
Da una siffatta interpretazione deriverebbe che, malgrado la natura
di decadenza procedimentale e sostanziale del termine, affermata nei
due primi periodi del comma 1, per coloro che hanno fatto
acquiescenza al provvedimento originario non si verificherebbe
decadenza con riferimento ai ratei maturati nei dieci anni
precedenti la domanda.
Cio' premesso, la disposizione in argomento potrebbe essere
intesa nel senso che per coloro che non hanno impugnato il
provvedimento originario non devono essere computati, in aggiunta ai
dieci anni ex articolo 47, secondo comma, del D.P.R. n. 639/1970,
anche i termini previsti perche' il provvedimento stesso acquisti
carattere di definitivita' (360 giorni ex articolo 46 del D.P.R. n.
639/1970 ovvero 180 giorni ex articolo 46 della legge n. 88/1989).
Considerato, peraltro, che a norma del comma 2
dell'articolo 6 della legge n. 166 la disposizione predetta ha
efficacia retroattiva (con esclusione dei processi in corso alla
data del provvedimento) l'applicazione della stessa in tal senso
comporterebbe il venir meno, per talune situazioni, della condizione
di pendenza del rappporto previdenziale gia' riconosciuta o
riconoscibile in base ai criteri finora seguiti. Si e' ritenuto,
pertanto, che debba continuare ad applicarsi il criterio secondo
cui, anche in caso di mancata proposizione del ricorso
amministrativo, i termini per la proponibilita' dell'azione
giudiziaria ex articolo 47, secondo comma, del D.P.R. n. 639/1970
decorrono dalla data di insorgenza del diritto alla prestazione a
seguito di provvedimento definitivo.
Le disposizioni dell'articolo 6, comma 1, per espressa
previsione del comma 2 hanno efficacia retroattiva, ma non si
D.L. 29 marzo 1991, n. 103, e cioe' al 2 aprile 1991.
3.1 - Definizione delle pratiche per le quali non e' in corso azione
giudiziaria.
Le disposizioni dell'articolo 6, comma 1, della legge n.
166/1991, per effetto della efficacia retroattiva prevista dal comma
2, trovano applicazione per la definizione delle domande e dei
ricorsi intesi ad ottenere l'applicazione retroattiva di sentenze
della Corte Costituzionale che incidono sulla misura della pensione
gia' liquidata, qualunque sia la data della relativa presentazione.
Le pratiche in questione, considerata la sostanziale
conformita' dei criteri gia' seguiti a quelli dettati dall'art.6,
comma 1, della legge in questione, continueranno ad essere definite
sulla base delle istruzioni gia' impartite ai fini dell'applicazione
delle sentenze in materia di diritto all'integrazione al trattamento
minimo, alle quali si fa integrale rinvio.
3.2 - Definizione delle pratiche per le quali e' in corso azione
giudiziaria.
Alle azioni giudiziarie in corso alla data di entrata in
vigore della nuova normativa non si applica, a norma del comma 2
dell'art. 6, il disposto del comma 1.
A parte saranno impartiti i conseguenti criteri
applicativi, con particolare riferimento agli aspetti legali.
IL DIRETTORE GENERALE
BILLIA