Home Contribuzione Figurativa Accreditabile a domanda Congedo per malattia del bambino Norme Circolari Inps CI 2010 Circolare 62 del 29 aprile 2010
- Dettagli
- Visite: 8132
Circolare 62 del 29 aprile 2010
OGGETTO:
Prestazioni economiche di maternità - Varie
SOMMARIO:
1. Assegno di maternità dello Stato in favore delle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata – Chiarimenti
2. Svolgimento di una nuova attività lavorativa durante la fruizione del congedo parentale – Precisazioni
3. Parto anticipato ed interdizione prorogata: nuove istruzioni
4. Documentazione amministrativa: certificati medici redatti dai medici convenzionati con il SSN
1) Assegno di maternità dello Stato di cui all’art. 75 del D.Lgs. 151/2001- Accertamento dei requisiti in caso di madre lavoratrice iscritta alla Gestione Separata - Precisazioni
E’ noto che, con la legge finanziaria per il 2007 e successivo decreto ministeriale del 12.07.2007, il congedo di maternità di cui agli artt. 16 e 17 del D.Lgs.151/2001 (T.U. maternità/paternità) è stato esteso anche in favore delle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata (vedi circolare n. 137/2007 e messaggio del 27.03.2008 n.7040).
In particolare, in attuazione della citata riforma, la lavoratrice iscritta alla Gestione Separata, analogamente a quanto previsto per la lavoratrice dipendente, ha diritto all’indennità di maternità per il periodo di congedo obbligatorio ordinario e anticipato/prorogato eventualmente disposto dai servizi ispettivi delle DPL, a condizione che risultino accreditate in favore della lavoratrice stessa tre mensilità di contribuzione nei 12 mesi precedenti la data di inizio del periodo di congedo obbligatorio (ordinario e/o anticipato/prorogato) richiesto.
A) L’estensione del diritto al congedo obbligatorio di maternità e della correlativa indennità, in favore delle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata, ha inciso anche sulla disciplina dell’assegno di maternità dello Stato ed, in particolare, sulla determinazione della quota differenziale nell’ipotesi di cui al comma 1, lett a, dell’art. 75 del D.Lgs. 151/2001 (vedi punto 2.1 della circolare n. 143/2001: “donna lavoratrice che, alla data del parto o dell’ingresso del bambino in famiglia, ha una qualsiasi forma di tutela previdenziale per la maternità…..”).
Precisamente, ai fini della concessione dell’assegno di maternità dello Stato, nell’ipotesi in esame, occorre accertare che la lavoratrice iscritta alla Gestione Separata sia in possesso dei seguenti requisiti:
1) abbia diritto all’indennità di maternità a carico della Gestione Separata in quanto risultano accreditate in favore della stessa i 3 mesi di contribuzione effettiva nei 12 mesi precedenti l’inizio del congedo obbligatorio (ordinario e/o anticipato);
2) abbia, inoltre, 3 mesi di contribuzione per la maternità, maturati anche in gestioni diverse, nel periodo compreso tra i 18 ed i 9 mesi antecedenti la data dell’evento (parto o ingresso del minore adottato/affidato nella famiglia anagrafica della richiedente).
Si rammenta che, nell’ipotesi considerata, l’assegno di maternità dello Stato spetta, nella misura della quota differenziale, a condizione che il trattamento economico per maternità (indennità o retribuzione), corrisposto o spettante alla lavoratrice, sia di importo inferiore rispetto all’importo dell’assegno medesimo.
A tali fini, nel predetto trattamento economico, dovrà includersi sia l’indennità spettante per il periodo ordinario di congedo obbligatorio di maternità sia l’indennità spettante per gli eventuali periodi di interdizione anticipata o prorogata disposti dal servizio ispezione della DPL ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 151/2001.
La misura della quota differenziale dell’assegno di maternità dello Stato sarà ricavata, quindi, sottraendo dal valore dell’assegno, vigente alla data del parto (o ingresso in famiglia), l’importo complessivo dei suddetti trattamenti economici (art. 6 del d.p.c.m. 452/2000).
B) In merito alla diversa ipotesi di cui al comma 1, lett. b, dell’art. 75 del D.Lgs. 151/2001 (punto 2.2 della circolare n. 143/2001: “donna che ha perduto il diritto a determinate prestazioni previdenziali ed assistenziali derivante dallo svolgimento di un’attività lavorativa per almeno tre mesi...”), si precisa che, per le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata, “i tre mesi di attività lavorativa” corrispondono a tre mesi di contribuzione effettiva nella misura dell’aliquota maggiorata dello 0,72 per cento, dovuta, a far data dal 7.11.2007, in luogo della precedente aliquota dello 0,50 per cento.
Pertanto, nell’ipotesi in esame, la lavoratrice iscritta alla Gestione Separata ha diritto all’assegno di maternità dello Stato a condizione che siano verificate le seguenti condizioni:
1) abbia svolto attività lavorativa per la quale risultano versati 3 mesi di contribuzione effettiva (non è rilevante l’arco temporale nel quale si collocano tali mesi di contribuzione);
2) abbia fruito, a seguito della suddetta attività lavorativa (per la quale risultano versati 3 mesi di contribuzione), di una delle prestazioni previdenziali di al punto 2.2 della circolare 143/2001, in particolare: malattia, maternità, degenza ospedaliera;
3) tra l’ultimo giorno di fruizione di una delle predette prestazioni previdenziali (malattia, maternità o degenza ospedaliera) e la data del parto (o ingresso in famiglia) è necessario che non sia decorso un periodo di tempo superiore a quello di durata della prestazione stessa, periodo che, comunque, non può essere superiore a 9 mesi.
Per quanto non espressamente contemplato nella presente circolare, si rimanda alle istruzioni fornite con circolare 143/2001.
2) Svolgimento di altra attività lavorativa durante la fruizione di congedo parentale
Sono stati chiesti chiarimenti in merito alla riconoscibilità o meno del diritto all’indennità per congedo parentale (di cui agli artt. 32 e ss. del D.Lgs.151/2001) in favore di lavoratori dipendenti che, durante la fruizione del congedo stesso, intraprendono una nuova attività lavorativa.
A tale riguardo è stato interpellato il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali che, nel rendere il proprio parere, ha sottolineato che il congedo parentale risponde alla precipua funzione di assicurare al genitore lavoratore un periodo di assenza dal lavoro finalizzato alla cura del bambino e non può, quindi, essere utilizzato dal lavoratore stesso per intraprendere una nuova attività lavorativa che, ove consentita, finirebbe col sottrarre il lavoratore dalla specifica responsabilità familiare verso la quale il beneficio in esame è orientato.
In applicazione delle indicazioni ministeriali sopra richiamate, si forniscono, quindi, le seguenti precisazioni.
Il lavoratore dipendente che, durante l’assenza dal lavoro per congedo parentale, intraprenda un’altra attività lavorativa (dipendente, parasubordinata o autonoma) non ha diritto all’indennità a titolo di congedo parentale ed, eventualmente, è tenuto a rimborsare all’Inps l’indennità indebitamente percepita (art. 22 del d.p.r. 1026/1976).
Pertanto, le Sedi dovranno respingere la relativa domanda e, nel caso in cui sia in corso la fruizione del beneficio e del correlativo trattamento economico, dovrà essere attivato il relativo recupero secondo le modalità ordinariamente previste.
L’incompatibilità appena evidenziata si configura anche nei casi in cui il lavoratore dipendente intraprenda una nuova attività lavorativa durante periodi di congedo parentale non indennizzabili per superamento dei limiti temporali e reddituali previsti dalla legge (artt. 32 e 34 del D.Lgs. 151/2001); in tale ipotesi, infatti, al lavoratore non può essere riconosciuta la copertura figurativa per i periodi di congedo impropriamente utilizzati.
Ovviamente, la reiezione della domanda di indennità, con eventuale recupero di quanto già corrisposto, dovrà limitarsi a quei periodi di congedo parentale relativamente ai quali risulti verificato il contemporaneo svolgimento della nuova attività lavorativa intrapresa.
Si precisa, inoltre, che l’ipotesi sopra considerata è differente rispetto all’ipotesi in cui il lavoratore sia titolare di più rapporti di lavoro a tempo parziale (orizzontale), ed eserciti il diritto al congedo parentale relativamente ad uno dei rapporti di lavoro, proseguendo l’attività nell’altro o negli altri rapporti. In tale caso, infatti, il lavoratore non si avvale dell’assenza per congedo parentale per intraprendere una nuova attività lavorativa, ma si limita a proseguire l’attività o le attività già in essere al momento della richiesta di congedo.
I lavoratori iscritti alla Gestione Separata aventi diritto al congedo parentale (lavoratori a progetto, collaboratori coordinati e continuativi presso la P.A. e titolari di assegno di ricerca) e le lavoratrici autonome non possono proseguire l’attività lavorativa nel periodo in cui fruiscono dell’indennità per congedo parentale, né possono intraprendere, durante il periodo medesimo, una nuova attività (sia essa dipendente, parasubordinata o autonoma); anche in tal caso, infatti, l’eventuale trattamento indebitamente concesso a titolo di congedo parentale dovrà essere recuperato.
3) Parto prematuro e interdizione prorogata dal lavoro disposta dai servizi ispezione della DPL – Nuove istruzioni
Sulla base di recenti indicazioni del Ministero del lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, si forniscono nuove istruzioni in merito alla determinazione del complessivo periodo di congedo obbligatorio di maternità (e del correlativo trattamento economico) spettante, in caso di parto prematuro, alla lavoratrice autorizzata all’interdizione prorogata dal lavoro, fino ad un periodo di 7 mesi dopo il parto, ai sensi degli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 151/2001.
In particolare, in caso di parto prematuro, i giorni di congedo obbligatorio non goduti prima del parto vanno aggiunti al termine del periodo di proroga con conseguente riconoscimento di un periodo di congedo post partum complessivamente di maggiore durata.
Devono pertanto ritenersi superate le istruzioni fornite alla lett. d) della circolare n. 45/2000.
4) Documentazione amministrativa: certificati medici redatti dai medici convenzionati con il SSN
L’art. 76 del D.Lgs. 151/2001 dispone che:
1. “Al rilascio dei certificati medici di cui al presente testo unico (maternità/paternità – D.Lgs. 151/2001), salvi i casi di ulteriore specificazione, sono abilitati i medici del servizio sanitario nazionale (SSN).
2. Qualora i certificati siano redatti da medici diversi da quelli di cui al comma 1, il datore di lavoro o l’istituto presso il quale la lavoratrice è assicurata per il trattamento di maternità hanno facoltà di accettare i certificati stessi ovvero di richiederne la regolarizzazione alla lavoratrice interessata”.
L’applicazione della norma succitata ha portato a ritenere che, ai fini delle disposizioni di cui al Testo Unico maternità/paternità, i medici convenzionati con il SSN non fossero da ricomprendere nella categoria dei “medici del SSN” ma nella categoria dei “medici diversi”. Conseguentemente, per i certificati redatti dai medici convenzionati trovava applicazione il comma 2 dell’art. 76 del D.Lgs. 151/2001 (accettazione o regolarizzazione).
Recentemente il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, interpellato in merito all’interruzione di gravidanza intervenuta prima del 180° giorno (aborto), ha chiarito che, ai fini dell'esclusione dei periodi di malattia connessa a gravidanza dal computo del limite massimo indennizzabile (180 giorni) per malattia nell’arco dell’anno solare, non è necessaria la certificazione rilasciata da un medico specialista del SSN, ma è sufficiente la certificazione redatta anche dal proprio medico curante di medicina generale convenzionato.
Ne consegue che, ai predetti fini, le Sedi devono accettare anche i certificati redatti dai medici curanti di medicina generale convenzionati.
Con l’occasione, il citato Ministero, ha chiarito inoltre che, ai fini del Testo Unico maternità/paternità, i medici convenzionati devono ritenersi compresi nella categoria dei medici del SSN di cui al comma 1 dell’art. 76 del D.Lgs. 151/2001: conseguentemente, i certificati medici redatti dai medici convenzionati devono considerarsi equivalenti a quelli rilasciati dai medici di struttura pubblica (SSN) e, pertanto, devono essere accettati dall’Istituto e dal datore di lavoro.
In particolare, devono essere accettati i certificati medici indicanti la data presunta del parto redatti dai medici curanti di medicina generale convenzionati o dai ginecologi convenzionati con il SSN (art. 21 del D.Lgs. 151/2001).
La certificazione medica attestante la malattia connessa a puerperio, analogamente a quanto previsto per la certificazione richiesta ai fini della flessibilità, deve essere rilasciata dallo specialista del SSN o con esso convenzionato.
Rimane ferma, invece, la facoltà dell’Istituto e del datore di lavoro di accettare o chiedere la regolarizzazione dei certificati medici redatti dai medici privati non convenzionati o dai medici dipendenti da strutture private non convenzionate con il SSN.
Per buona memoria, in merito alle strutture che possono considerarsi “convenzionate”, è utile fare riferimento alle precisazioni a suo tempo fornite con circolare n. 32 del 03.03.2006.
Il Direttore Generale
Nori