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Corte Costituzionale 136 del 04 maggio 1984
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. LEOPOLDO ELIA, Presidente - Prof.
GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - DOTT. BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI - Prof. LIVIO PALADIN - DOTT. ARNALDO MACCARONE - Prof.
VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI - Dott. FRANCESCO SAJA -
Prof. GIOVANNI CONSO - Prof. ETTORE GALLO - Dott. ALDO CORASANITI,
Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, legge 10
giugno 1940 n. 653 (trattamento degli impiegati privati richiamati
alle armi) promosso con ordinanza emessa il 27 gennaio 1977 dal
pretore di Genova sul ricorso di Michelini Osvaldo c/ Ansaldo s.p.a.
iscritta al n. 182 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 148 dell'anno 1977.
Visto l'atto di costituzione di Michelini Osvaldo nonché l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 13 marzo 1984 il Giudice relatore
Livio Paladin;
uditi l'avvocato Luciano Ventura per Michelini e l'Avvocato dello
Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Fatto
Ritenuto in fatto:
Con ordinanza del 27 gennaio 1977, il Pretore di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 10 giugno 1940, n. 653 (sul trattamento degli impiegati privati richiamati alle armi), in riferimento agli artt. 3 e 52 Cost.; ed ha argomentato in tal senso che la norma impugnata determinerebbe "un ingiustificata... disparità... tra impiegati ed operai", attribuendo soltanto agli uni e non agli altri "una indennità mensile pari alla retribuzione", quanto ai primi due mesi decorrenti dal richiamo.
Intervenuto nel presente giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito che la questione sarebbe inammissibile, dal momento che l'ordinanza di rimessione non chiarirebbe "se l'attore interessato sia un operaio o un impiegato e come la sua pretesa sia influenzata dalla norma sospettata di illegittimità costituzionale"; e che, comunque, il giudice a quo non avrebbe dovuto contestare la "norma più favorevole ma non pertinente", sicché ne deriverebbe un'ulteriore ragione per affermare "la totale irrilevanza" dell'impugnativa. In via subordinata, l'Avvocatura dello Stato ha però sostenuto l'infondatezza della questione medesima, notando che "la condizione di eguaglianza dei cittadini rispetto all'adempimento del servizio militare non è violata se, in relazione ai diversi status di dipendenza, le norme di legge, i regolamenti del personale o i contratti collettivi stabiliscono provvidenze diverse che attengono al rapporto di lavoro e non al servizio militare".
S'è inoltre costituita la difesa del ricorrente nel giudizio principale, concludendo invece nel senso dell'accoglimento, giacché sarebbe "inconcepibile che la legge ordinaria tuteli in modo diverso il cittadino chiamato ad adempiere un obbligo... che secondo la Costituzione non deve pregiudicare la sua posizione di lavoro". Per altro, con una successiva memoria, la difesa stessa ha escluso la dedotta irrilevanza dell'impugnativa, osservando che la disparità in esame "trova la sua origine nella normativa investita dalla ordinanza del Pretore di Genova", tant'è che "ogni questione sarebbe superata se l'art. 1 della legge 10 giugno 1940, n. 653 avesse fatto riferimento indistintamente a tutti i lavoratori e non soltanto agli impiegati".
Diritto
Considerato in diritto:
1. - Sia pure esposti in modo sommario, i termini della proposta questione di legittimità costituzionale sono sufficientemente precisati dall'ordinanza in esame. Il Pretore di Genova impugna cioè, per asserito contrasto con il combinato disposto degli artt. 3 e 52 Cost., l'art. 1 della legge 10 giugno 1940, n. 653: con particolare riguardo alla disciplina dettata dal primo comma, per cui sono dovute "agli impiegati privati richiamati alle armi... una indennità mensile pari alla retribuzione", relativamente ai primi due mesi dal richiamo, ed una ulteriore "indennità mensile" pari all'eventuale differenza fra la retribuzione ed il "trattamento economico militare", quanto all'intero periodo successivo, "sino alla fine del richiamo". A fronte di questa puntuale e dettagliata normativa concernente i soli impiegati, circa gli operai si applica invece - per effetto del rinvio contenuto nell'art. 4 della legge 3 maggio 1955, n. 370 (sulla conservazione del posto ai lavoratori richiamati alle armi) - "la disposizione del secondo comma dell'art. 2111 del codice civile, in relazione al primo... comma dell'art. 2110 dello stesso Codice": per cui "è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità".
Nella specie, difettando apposite leggi od altre fonti normative, opera dunque - stando all'ordinanza di rimessione - il contratto collettivo nazionale del 1976 per le aziende metalmeccaniche (fra le quali rientra la convenuta società Ansaldo) che non considera il caso del richiamo alle armi, ma regola il trattamento degli operai in malattia, equiparato al richiamo in virtù dell'art. 2111 cpv. cod. civ., così da consentire la sola corresponsione "di una integrazione pari al 100% o al 50%" - secondo i vari scaglioni di servizio - "della differenza tra l'ultima paga e quanto percepito dalle forze armate". Ed è appunto in ciò che si concreta - ad avviso del Pretore di Genova - la censurata disparità di trattamento.
2. - Nondimeno, l'Avvocatura dello Stato ha eccepito, in un duplice senso, l'inammissibilità della questione: da un lato, perché il giudice a quo non avrebbe adeguatamente motivato la rilevanza della questione medesima, trascurando in particolar modo di chiarire se il lavoratore interessato sia un operaio oppure un impiegato dell'Ansaldo; d'altro lato, perché non gioverebbe, nella prima ipotesi, annullare la norma di favore stabilita dall'art. 1 della legge n. 653 del 1940, ma occorrerebbe piuttosto impugnare il contratto collettivo dal quale deriva la denunciata discriminazione.
Sotto entrambi i profili, però, l'eccezione dev'essere respinta. È infatti intuitivo che il ricorrente, avendo prospettato la questione di legittimità costituzionale che poi si è tradotta nell'ordinanza in esame, non può essere altri che un operaio, il quale ha contestato e tuttora contesta la costituzionalità dell'art. 1 l. cit., non già per quanto esso considera e prevede, ma per quanto esso esclude od ignora: cioè "nella parte in cui non garantisce agli operai" - come si avverte nell'atto di costituzione del ricorrente - "lo stesso trattamento riconosciuto agli impiegati". Né vale replicare, in presenza di una norma legislativa riferibile al caso in discussione e censurata dal giudice a quo per contrasto con il principio costituzionale d'eguaglianza (nonché con la proclamazione dell'art. 52, secondo comma, Cost.), che il fattore causale della denunciata disparità di trattamento consisterebbe - in ultima analisi - nel ricordato contratto collettivo per le aziende metalmeccaniche e non nella legge impugnata. Al di là delle varie e particolari discipline che in materia possono esser poste, direttamente od indirettamente, mediante la contrattazione collettiva, la Corte è chiamata a verificare se la Costituzione esiga o meno l'eguaglianza di fronte alla legge dei lavoratori dipendenti richiamati alle armi: così da comportare parità nei trattamenti comunque spettanti a tutti i soggetti interessati. E la rilevanza di un tale quesito risulta confermata dalla circostanza che, nel giudizio pendente dinanzi al Pretore di Genova, l'art. 1 della legge n. 653 è stato preso in centrale considerazione sia dal ricorso del lavoratore richiamato alle armi sia dalla memoria difensiva della società convenuta.
3. - Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la persistente distinzione tra impiegati ed operai consente al legislatore di diversificare il trattamento spettante a queste due specie di lavoratori dipendenti, purché la differenziazione sia congrua rispetto alla diversità delle posizioni rispettive fondandosi - in particolar modo - sulla diversa qualità del lavoro prestato; sicché le differenziazioni stesse non si risolvono senz'altro - com'è stato precisato nelle sentenze n. 18 del 1974 e n. 117 del 1976 - in violazioni del principio costituzionale d'eguaglianza. Ma ciò non toglie che tale principio sia comunque vulnerato, ogni qualvolta non venga in diretto rilievo "l'ordinamento attuale delle qualificazioni professionali", ma si tratti di situazioni e di bisogni indistintamente comuni a tutti i lavoratori: come nel caso dei criteri di determinazione del grado d'invalidità richiesto per il conseguimento del diritto a pensione (di cui alla sentenza n. 160 del 1971) ovvero nel caso dell'assicurazione contro la disoccupazione involontaria (di cui alla sentenza n. 177 del 1975).
Considerazioni analoghe a quelle testè ricordate valgono anche nei riguardi dei lavoratori richiamati alle armi. In questo campo, il legislatore era ed è libero di stabilire se debba ancora sussistere l'apposito regine previdenziale introdotto dalla legge n. 653 del 1940, mediante l'istituzione della "cassa per il trattamento di richiamo alle armi". Ma, una volta deciso il ricorso a questo tipo di provvidenze, non si giustifica che ne beneficino i soli impiegati privati, ad esclusione degli operai, poiché il divario riscontrabile fra le due categorie non costituisce una causa pertinente dell'impugnata discriminazione: la quale non attiene - contrariamente a quanto assume l'Avvocatura dello Stato - al rapporto di lavoro in sè considerato. E l'esigenza di pervenire alle stesse conclusioni raggiunte con le citate sentenze n. 160 del 1971 e n. 177 del 1975 s'impone a fortiori nel caso in esame dato il combinarsi del principio generale d'eguaglianza con la specifica previsione costituzionale dell'art. 52, secondo comma, per cui l'adempimento del servizio militare non può mai pregiudicare - quale che sia la specie dei lavoratori interessati - "la posizione di lavoro del cittadino".
All'annullamento dell'impugnato art. 1 deve poi conseguire - in applicazione dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953 - la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di ogni altra norma della legge n. 653 del 1940, che si riferisca ai soli impiegati privati, con ciò stesso escludendo gli operai.
PQM
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 10 giugno 1940, n. 653, nella parte in cui si riferisce ai soli impiegati privati e non anche agli operai richiamati alle armi;
2) dichiara - in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - l'illegittimità costituzionale degli artt. 2 e seguenti della legge n. 653 del 1940, nelle parti in cui si riferiscono ai soli impiegati privati e non anche agli operai richiamati alle armi.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 maggio 1984.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 4 MAG. 1984