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Sentenza 18 del 12 gennaio 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente
- Prof. Gabriele PESCATORE
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), promosso con ordinanza emessa il 15 aprile 1994 dal Pretore di Pistoia nel procedimento civile vertente tra Esterasi Noseda e l'I.N.P.S., iscritta al n. 381 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visto l'atto di costituzione dell'I.N.P.S. nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 13 dicembre 1994 il Giudice relatore Cesare Ruperto;
udito l'avv. Giuseppe Iovino per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio in cui la ricorrente aveva richiesto la condanna dell'I.N.P.S. a corrisponderle la rendita vitalizia per il periodo (13/1/1973-31/12/1973) di attività prestata quale collaboratrice (recte: coadiuvante) nell'azienda artigiana del coniuge (periodo non coperto da contribuzione), il Pretore di Pistoia, con ordinanza emessa il 15 agosto 1994, ha sollevato, in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione, que stione di legittimità costituzionale dell'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), nella parte in cui esclude che la rendita vitalizia, da detta norma prevista, possa essere riconosciuta anche ai familiari collaboratori di imprese artigiane.
Osserva il giudice a quo che l'art. 13, nel consentire la costituzione di rendite in luogo di contributi previdenziali di cui sia prescritto il versamento all'I.N.P.S., sembra riferirsi esclusivamente ai lavoratori subordinati ed ai loro datori di lavoro. La lettera della legge e la natura stessa della legislazione previdenziale precluderebbero un'estensione analogica ai coadiutori del titolare dell'impresa artigiana, i quali, ai fini previdenziali, già sono equiparati ai lavoratori subordinati ex legge 4 luglio 1959, n. 463 (Estensione dell'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti agli artigiani ed ai loro familiari), ma nella specie subirebbero un'irragionevole discriminazione.
Secondo il Pretore, che richiama un'affermazione in tal senso della Corte di cassazione (sentenza 22 giugno 1990, n. 6289), anche i rapporti di collaborazione dovrebbero invece essere assimilati a quelli di lavoro subordinato, in quanto comportano obblighi assicurativi e contributivi a carico del titolare dell'impresa.
2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità ovvero per l'infondatezza della questione, sulla base dell'ontologica diversità tra il rapporto lavoratore subordinato-datore di lavoro da un lato e collaboratore familiare-titolare dell'impresa dall'altro.
3. - Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituito l'I.N.P.S. chiedendo la declaratoria d'infondatezza. Osserva la difesa della parte che la generale garanzia previdenziale per tutti i lavoratori non implica un unico trattamento giuridico in materia pensionistica, il quale anzi è coerentemente differenziato per le diverse categorie di prestatori d'opera: in particolare, la norma impugnata è espressione dell'automatismo delle prestazioni previdenziali e si collega con il principio di responsabilità del datore di lavoro per le omissioni contributive ex art. 2116, primo e secondo comma, del codice civile. Tale disciplina - aggiunge detta difesa - necessariamente comporta una situazione di lavoro subordinato e risulta viceversa del tutto estranea ai rapporti caratteristici dell'impresa artigiana svolta con la collaborazione dei familiari dell'imprenditore.
Considerato in diritto
1. - Il Pretore di Pistoia dubita, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, nella parte in cui esclude che la rendita vitalizia reversibile, ivi prevista in favore del lavoratore per il quale il datore di lavoro abbia omesso di regolarizzare la posizione contributiva presso l'ente assicuratore, possa essere costituita anche in favore dei familiari coadiuvanti di imprese artigiane.
2. - La questione non è fondata, nei sensi di seguito precisati.
La legge 4 luglio 1959, n. 463, nell'estendere agli artigiani ed ai familiari coadiuvanti l'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, ha espressamente stabilito (art. 1, secondo comma) che essa è, anche per tale categoria di soggetti, regolata, salve diverse disposizioni della legge medesima, dalle norme del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 e successive modificazioni e integrazioni.
Che si tratti di un rinvio formale alla disciplina dell'assicurazione dei lavoratori subordinati, è reso palese dalla latitudine della sua formulazione letterale ed ancor più dalla ricomprensione nell'àmbito della normativa richiamata, non solo di uno specifico testo ma anche del progressivo concretarsi dell'evoluzione modificativa ed integrativa di esso, ciò che esprime l'intentio legis di un riferimento alla fonte stessa della detta disciplina più che allo specifico contenuto di determinate regole.
Orbene, l'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 è ratione materiae oltre che per esplicita menzione del relativo coordinamento (non è infatti senza ragione che il r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 sia richiamato specificamente nel primo comma di tale articolo), disposizione che concorre, ad ogni effetto, alla formazione dell'ordinamento previdenziale per i lavoratori dipendenti, sicché devesi, per le esposte ragioni, ritenere esso medesimo oggetto del cennato rinvio di cui all'art. 1 della legge n. 463 del 1959.
D'altronde tale legge, nell'ultimo comma dell'art. 4, ripete quasi testualmente la norma dettata nel capoverso dell'art. 55 del r.d.l. n. 1827 del 1935, secondo la quale "non è ammessa la possibilità di effettuare versamenti a regolarizzazione di contributi arretrati dopo che, rispetto ai contributi stessi, sia intervenuta la prescrizione". Norma che costituisce il presupposto per l'operatività della disposizione di cui all'art. 13 della legge n. 1338 del 1962, la quale ha inteso attuare - come si precisa nella relazione dell'on. Pezzini al Senato - "un congegno di regolarizzazione contributiva, che consenta di valorizzare, ai fini del trattamento pensionistico, quei periodi lavorativi per i quali si siano verificate omissioni contributive non sanabili per effetto di prescrizione".
Il congegno è stato articolato in relazione alla norma generale prevista nel succitato art. 55 r.d.l. n. 1827 del 1935, e ciò spiega il riferimento contenuto nell'art. 13 al "datore di lavoro" in via principale e al "lavoratore" in via sostitutiva, quali soggetti ammessi ad esercitare la facoltà di costituire la rendita con conseguente onere di versare all'I.N.P.S. la riserva matematica calcola ta in base alle tariffe. Ma è evidente che, attraverso l'attribuzione di codesta facoltà, si è mirato, non ad offrire un particolare modo di risarcimento del danno bensì a realizzare il medesimo effetto dell'ormai non più possibile adempimento dell'obbligo contributivo da parte di chi era tenuto al versamento; così elidendo le gravissime conseguenze negative dell'inadempimento contributivo sulla sfera giuridica del lavoratore, che arrivano fino a rendere inoperante il sistema dell'automatismo delle prestazioni (il quale presuppone pur sempre la correlazione tra contributi e prestazioni: v. art. 27 r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, come integrato dall'art. 40 della legge 30 aprile 1969, n. 153), sì da lasciare affidata soltanto alla responsabilità penale e civile dell'obbligato la protezione del lavoratore.
E' stato dunque creato uno strumento per rendere più piena ed incisiva, nel quadro di una regolamentazione generale costituzionalmente garantita, la tutela del lavoratore, nei cui confronti il "datore di lavoro" è un debitore di sicurezza, il quale potrebbe nella realtà - intenzionalmente o suo malgrado - non soddisfare il proprio debito, così frustrando la finalità specifica dell'assicu razione obbligatoria.
Certo, un legislatore attento non avrebbe mancato di disporre espressamente l'utilizzabilità di tale congegno in favore di tutti i soggetti che, nel detto quadro generale di protezione, godano della stessa tutela previdenziale propria del lavoratore subordinato in senso tecnico. Nella specie ciò non è avvenuto. Tuttavia non è dato neppure riscontrare alcun indizio normativo nel senso contrario; per cui rimane affidato all'interprete il compito di stabilire se non sia il dinamismo stesso della legislazione previdenziale, improntata al principio della sicurezza sociale, a far ritenere applicabile in via estensiva la norma de qua anche ai familiari dell'artigiano che non siano titolari dell'impresa ma lavorino abitualmente e prevalentemente nell'azienda e non siano già compresi nell'obbligo assicurativo previsto dalle norme vigenti per l'assicurazione obbligatoria I.V.S., in quanto lavoratori subordinati; ai quali lavoratori subordinati - giova sottolineare - i coadiuvanti familiari vengono equiparati, ai fini previdenziali, dalla citata legge n. 463 del 1959. Compito, codesto, di cui l'interprete non può non darsi carico quando una interpretazione diversa porterebbe - come nella specie - a ritenere la norma contrastante con la Costituzione, segnatamente con gli artt. 3 e 38 indicati quali parametri dal giudice a quo.
Del resto, una propensione nel senso della necessaria interpretazione estensiva è già rinvenibile nella giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale, nell'unica occasione presentatasi e citata dallo stesso pretore remittente, ha appunto osservato come la norma dell'art. 13 della legge n. 1338 del 1962 potrebbe estendersi "al rapporto fra titolare dell'impresa e collaboratore familiare, che vede pur sempre due soggetti, il primo dei quali tenuto a comportamenti per la tutela assicurativa del secondo".
Tale conclusione, che è l'unica conforme al dettato costituzionale, trova fondamento nella duplice considerazione: a) che la legge n. 463 del 1959 ha disposto il summenzionato richiamo estensivo alla normativa contenuta nel r.d.l. n. 1827 del 1935, proprio per desumerne la disciplina dell'assicurazione obbligatoria della particolare categoria di lavoratori in esame; b) che la norma impugnata dell'art. 13 ha connotati di generalità ed astrattezza tali da renderla applicabile a tutte le forme assicurative delle varie categorie di lavoratori che non hanno una posizione attiva nel determinismo contributivo.
Né con ciò si trasmoda nel procedimento analogico, ritenuto improponibile dal giudice remittente. Infatti, come questa Corte ha precisato nella sentenza n. 526 del 1990, "si verte ancora nel campo dell'interpretazione ... quando l'estensione della norma a un caso non compreso nella lettera legislativa sia giustificata da un giudizio di meritevolezza del medesimo trattamento, fondato sulla ratio legis indipendentemente dalla somiglianza al caso previsto". E proprio in tale sentenza si è ritenuto - con riguardo bensì ad altra norma, ma pur sempre in relazione ai contributi di cui alla legge n. 463 del 1959, che nel significato dell'espressione "datore di lavoro" è incluso anche quello attinente ai rapporti (non di lavoro subordinato in senso tecnico) degli artigiani e dei piccoli commercianti con i loro familiari coadiuvanti o coadiutori.
La norma impugnata, dunque, si sottrae alle proposte censure, essendo idonea a realizzare, anche nei confronti dei lavoratori in questione, la possibilità di un trattamento sostitutivo di quello propriamente previdenziale, vanificato da omissioni contributive ormai (a causa del maturare dei termini di prescrizione) irrimediabilmente consumate; ed in tali sensi, pertanto, la questione di legittimità costituzionale relativamente ad essa proposta deve essere dichiarata priva di fondamento.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata nei sensi di cui in motivazione la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), sollevata dal Pretore di Pistoia, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 1995.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1995.