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Condizioni per l'esercizio della totalizzazione
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Contribuzione da riscatto dei periodi di studio
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Criteri di totalizzazione dei periodi contributivi
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Decorrenza della nuova disciplina
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Decorrenza pensione di vecchiaia e anzianità
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Destinatari e relativa contribuzione
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Gestione delle trattenute su pensioni erogate in regime di totalizzazione e di cumulo
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Liquidazione della pensione per i lavoratori in possesso di contribuzione agricola
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Maggiorazione sociale
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Modalità di liquidazione della pensione
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Modalità di pagamento
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Normativa in vigore dal 1° gennaio 2006
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Pensione ai superstiti
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Pensione di anzianità
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Pensione di inabilità
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Pensione di vecchiaia
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Pensione supplementare dei contributi non totalizzati
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Periodi coincidenti
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Prestazioni concesse
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Supplementi su pensioni in totalizzazione
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Titolarità dell'assegno ordinario di invalidità
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Totalizzazione e contributi versati all'estero
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Totalizzazione e pensione estera
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Totalizzazione e ricongiunzione
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Trattamenti di famiglia
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Trattamento minimo e regime di cumulo con i redditi
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Utilizzo dei contributi interamente coincidenti
Sentenza 232 del 7 novembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione terza, nel procedimento tra D. M. e il Ministero della giustizia, con ordinanza del 12 febbraio 2018, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 12 febbraio 2018, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 2018, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 29, 32 e 35 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo, la preesistente convivenza dei figli con il soggetto da assistere».
1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sul ricorso di un agente penitenziario, che ha chiesto di beneficiare del congedo straordinario retribuito per l’assistenza al padre malato.
Il Ministero della giustizia, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dopo avere riscontrato che il lavoratore e il genitore da assistere non convivono, ha rigettato l’istanza. Il ricorrente ha impugnato tale diniego con ricorso cautelare, accolto dal rimettente con ordinanza 13 luglio 2016, n. 901, poi riformata dal Consiglio di Stato, sezione quarta, con ordinanza 21 ottobre 2016, n. 4750, che ha richiamato a fondamento della decisione la «contestata sussistenza del requisito della convivenza con la persona disabile».
Il ricorrente ha instaurato il giudizio di merito per ottenere l’annullamento del provvedimento di rigetto e ha dedotto, in primo luogo, violazione di legge, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, motivazione errata e ingiustizia manifesta. A parere del ricorrente, l’amministrazione non avrebbe esaminato lo stato di famiglia, che dimostra come la residenza anagrafica del ricorrente coincida con quella del genitore e come nessun altro fratello benefici del congedo richiesto.
L’amministrazione, inoltre, avrebbe violato l’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), poiché non avrebbe preventivamente comunicato il preavviso di rigetto.
Il giudice a quo evidenzia, preliminarmente, che tale ultimo motivo di ricorso deve essere disatteso, perché l’amministrazione ha fondato il rigetto sulla mancanza di una preesistente convivenza e, a fronte di tale motivazione, il ricorrente non potrebbe addurre elementi idonei a mutare il provvedimento adottato.
Quanto al primo motivo di ricorso, il rimettente reputa non fondati i rilievi del ricorrente, che conducono a identificare la convivenza nella mera residenza anagrafica. L’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 subordina al requisito della pregressa convivenza la concessione del congedo straordinario retribuito, che non può essere esteso oltre le ipotesi tassativamente previste dalla legge. È su tale requisito che si incentrano i dubbi di legittimità costituzionale.
1.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta che la domanda dovrebbe essere respinta, poiché difetta il requisito della pregressa convivenza e la disposizione censurata non si presta a una diversa interpretazione, che superi il dato testuale e consenta di identificare convivenza e residenza anagrafica, in linea con il punto di vista del ricorrente.
1.3.– Ad avviso del rimettente, l’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, «nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo ivi previsto, la preesistente convivenza del figlio richiedente il beneficio con il genitore da assistere, e non consente invece che la convivenza costituisca una condizione richiesta durante la fruizione del congedo», contrasterebbe con molteplici parametri della Carta fondamentale.
Il rimettente, dopo avere passato in rassegna la giurisprudenza costituzionale, che ha individuato la ratio del congedo straordinario nell’esigenza di garantire la continuità delle cure e dell’assistenza al disabile nell’àmbito familiare (si menzionano le sentenze n. 233 del 2005, n. 158 del 2007, n. 19 del 2009 e n. 203 del 2013), osserva che la scelta di concedere il congedo straordinario al figlio, solo quando sia già convivente con il genitore da assistere, si pone in contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 29, 32 e 35 Cost.
In particolare, tale limitazione sarebbe lesiva del «combinato disposto di cui agli artt. 2, 29 e 32 Cost.», che presuppone «una legittimazione della famiglia nel suo insieme – come insieme di rapporti affettivi – a divenire strumento di assistenza del disabile», in virtù del dovere di solidarietà che grava su ogni componente della comunità familiare e del «corrispondente diritto del singolo di provvedere all’assistenza materiale e morale degli altri membri, ed in particolare di quelli più deboli e non autosufficienti, secondo le proprie infungibili capacità».
L’attribuzione del congedo straordinario ai soli familiari già conviventi rispecchierebbe «una visione statica e presuntiva dell’organizzazione familiare, che può rivelarsi incompatibile con la necessità di prendersi cura, dall’oggi al domani, di una persona divenuta gravemente disabile, nonché non coerente con il moderno dispiegarsi dell’esistenza umana». Le necessità che conducono i figli ad allontanarsi dal nucleo familiare di origine non possono «costituire ostacolo alla concreta attuazione dell’inderogabile principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.», giacché è proprio l’assenza di convivenza a imporre al figlio «di richiedere il congedo straordinario, non avendo altro modo di prestare assistenza continuativa al genitore disabile che si trovi nella situazione di non avere nessun altro famigliare in grado di fornire adeguato sostegno».
Il rimettente soggiunge che il principio di solidarietà ben potrebbe essere attuato imponendo l’obbligo di convivenza durante la fruizione del congedo.
L’assetto restrittivo delineato dal legislatore si porrebbe in conflitto anche con l’art. 3 Cost., poiché determinerebbe «un’evidente disparità di trattamento […] tra coloro che liberamente possono scegliere il luogo in cui risiedere (e dunque convivere con il genitore) e quanti, invece, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non possono compiere tale scelta, come avviene nel caso di specie».
Il rimettente, a tale riguardo, denuncia anche la violazione degli artt. 4 e 35 Cost. L’individuazione dei beneficiari in base al requisito della convivenza sarebbe all’origine di una discriminazione arbitraria, legata alla tipologia del lavoro svolto.
La disposizione censurata, inoltre, nel subordinare la concessione del congedo straordinario al requisito della convivenza, si porrebbe «in contrasto con il combinato disposto di cui agli artt. 2 e 3 Cost.». La normativa in esame richiederebbe «un requisito ulteriore rispetto a quanto previsto dalla disciplina di altri istituti aventi la medesima finalità assistenziale», come i permessi disciplinati dall’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), che prescindono dal presupposto della convivenza.
Sarebbe irragionevole una disciplina difforme «di istituti preordinati alla tutela dei medesimi valori costituzionali, attuati attraverso il medesimo strumento solidaristico della famiglia» e tale irragionevolezza sarebbe palese nel caso di specie, che vede il ricorrente, pur beneficiario dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, escluso dal congedo straordinario in ragione della mancanza di una convivenza preesistente.
2.– È intervenuto in giudizio, con atto depositato il 10 aprile 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Lombardia.
La difesa dell’interveniente, in linea preliminare, lamenta che il giudice a quo non abbia descritto la patologia del genitore del ricorrente e non abbia chiarito se l’infermità rientri tra quelle gravi, le sole che danno titolo al beneficio, in base all’art. 4, commi 2 e 4, della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città). Tale lacuna nella descrizione della fattispecie concreta si tradurrebbe nella manifesta inammissibilità della questione per omessa motivazione sulla rilevanza.
Nel merito, la questione sarebbe manifestamente infondata.
La giurisprudenza costituzionale richiamata dal rimettente avrebbe progressivamente esteso i beneficiari del congedo straordinario, sempre sul presupposto di una preesistente convivenza con il disabile, funzionale ad assicurare un’assistenza continuativa al congiunto disabile e a «verificare nella sua effettività la funzione di supplenza affidata alla famiglia».
La scelta di subordinare a tale requisito il godimento di un beneficio, che implica pur sempre «una deroga alla disciplina generale del rapporto di lavoro», varrebbe a contemperare le esigenze della tutela del disabile all’interno della famiglia con la necessità di salvaguardare la regolarità del rapporto di lavoro e di servizio.
Quanto ai permessi retribuiti, che raggiungono l’ammontare massimo di tre giorni mensili, non sarebbero comparabili con il congedo straordinario retribuito fino a due anni, che non mira a garantire «forme di assistenza temporanee», ma «un’assistenza stabile da parte dei componenti del nucleo familiare».
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione terza, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), con specifico riguardo alla disciplina del congedo straordinario retribuito concesso al figlio per l’assistenza al padre gravemente disabile.
1.1.– Il rimettente assume che la disposizione censurata attribuisca al figlio tale congedo, a condizione che già conviva con il padre al momento della presentazione della domanda.
A favore dell’interpretazione prescelta dal rimettente e accreditata dal Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sezione seconda, parere n. 2584, reso il 1° agosto 2014, in relazione a un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da un agente di polizia penitenziaria), militano il dettato letterale e l’argomento teleologico.
Quanto alla lettera della legge, il riferimento al «figli[o] convivent[e]» evoca una convivenza già instaurata al momento della formulazione della richiesta. Il dato testuale è poi corroborato dalla finalità dell’istituto del congedo straordinario, che si prefigge di tutelare la continuità dell’assistenza e in quest’ottica presuppone la prossimità del beneficiario al familiare disabile.
Il rimettente censura, in riferimento a molteplici parametri costituzionali, la scelta di subordinare la concessione del congedo straordinario al presupposto della «preesistente convivenza del figlio richiedente il beneficio con il genitore da assistere».
Sarebbe violato, anzitutto, «il combinato disposto di cui agli artt. 2, 29 e 32 Cost.», che affida a ogni componente della famiglia il compito di assistere il disabile. Al «dovere di solidarietà, che vincola comunitariamente ogni congiunto» fa riscontro il «corrispondente diritto del singolo di provvedere all’assistenza materiale e morale degli altri membri, ed in particolare di quelli più deboli e non autosufficienti, secondo le proprie infungibili capacità».
La scelta di porre la preesistente convivenza come «prerequisito» indispensabile per il godimento del beneficio rispecchierebbe, per un verso, una concezione restrittiva dell’assistenza familiare, limitata al solo nucleo convivente, e, per altro verso, «una visione statica e presuntiva dell’organizzazione familiare, che può rivelarsi incompatibile con la necessità di prendersi cura, dall’oggi al domani, di una persona divenuta gravemente disabile».
Il figlio che non convive con il genitore non avrebbe altra scelta che richiedere un congedo straordinario, «non avendo altro modo di prestare assistenza continuativa al genitore disabile che si trovi nella situazione di non avere nessun altro famigliare in grado di fornire adeguato sostegno».
Le necessità che, secondo «il moderno dispiegarsi dell’esistenza umana», conducono i figli ad allontanarsi dalla famiglia d’origine non potrebbero in nessun caso ostacolare la «concreta attuazione dell’inderogabile principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.», attuazione che ben potrebbe essere garantita mediante l’imposizione di un obbligo di convivenza «durante la fruizione del congedo».
La scelta legislativa di subordinare il beneficio del congedo straordinario a una convivenza «che deve sussistere al momento della presentazione della domanda» è censurata anche per il contrasto con l’art. 3 Cost. Il rimettente ravvisa un’ingiustificata disparità di trattamento «tra coloro che liberamente possono scegliere il luogo in cui risiedere (e dunque convivere con il genitore) e quanti, invece, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non possono compiere tale scelta».
Una disciplina così congegnata sarebbe lesiva, in pari tempo, degli artt. 4 e 35 Cost., poiché discriminerebbe «i soggetti legittimati ad ottenere il beneficio in questione in ragione del tipo di lavoro svolto».
Il principio di eguaglianza sarebbe leso anche sotto un distinto profilo, che riguarda l’ingiustificata disparità di trattamento tra il congedo straordinario e i permessi previsti dall’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).
Pur trattandosi di istituti «preordinati alla tutela dei medesimi valori costituzionali, attuati attraverso il medesimo strumento solidaristico della famiglia», il legislatore, senza una ragionevole giustificazione, differenzierebbe i requisiti per godere dei rispettivi benefici, in violazione del «combinato disposto di cui agli artt. 2 e 3 Cost.». Per accedere ai permessi non sarebbe più necessaria la convivenza, per contro richiesta con riguardo al congedo straordinario retribuito. L’irragionevolezza emergerebbe in maniera nitida nel caso di specie, che vede il ricorrente, pur ammesso a fruire dei permessi, escluso dalla possibilità di beneficiare del congedo straordinario.
1.2.– La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nel corso di un giudizio instaurato da un agente penitenziario, che ha rivendicato il diritto a un periodo di congedo straordinario retribuito per l’assistenza al padre in condizioni di disabilità grave e ha dedotto l’illegittimità del provvedimento dell’amministrazione, che ha rigettato l’istanza per la mancanza di una preesistente convivenza.
2.– L’Avvocatura generale dello Stato, per l’intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, ha eccepito la manifesta inammissibilità della questione in ragione dell’omessa motivazione sulla rilevanza. Il rimettente non avrebbe offerto alcun ragguaglio sulle patologie del padre del ricorrente nel giudizio principale e tale profilo sarebbe determinante ai fini dell’accoglimento della domanda, poiché soltanto una disabilità grave potrebbe giustificare la concessione del congedo straordinario. La lacuna segnalata dall’Avvocatura generale dello Stato, pertanto, non potrebbe che riverberarsi sulla stessa adeguatezza della motivazione in ordine al profilo preliminare della rilevanza.
L’eccezione non è fondata.
Il giudice a quo argomenta che il ricorrente già gode dei permessi previsti dall’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, che presuppongono pur sempre, al pari del congedo straordinario, l’assistenza a una persona «con handicap in situazione di gravità».
Alla luce di tale dato di fatto, ovvero della fruizione dei permessi, che il rimettente ha posto in risalto e che l’amministrazione non ha contestato in alcun modo, non si può ritenere lacunosa la motivazione sul presupposto della disabilità grave del genitore bisognoso di assistenza.
Come si evince dalla puntuale ricostruzione degli antecedenti della controversia, le contestazioni vertono sul solo requisito della pregressa convivenza e non investono gli altri presupposti per la concessione del beneficio, peraltro vagliati nella fase cautelare di primo grado con esito favorevole al ricorrente.
Alla stregua delle allegazioni acquisite nel giudizio principale, richiamate dal rimettente, la motivazione sulla rilevanza è sufficiente e supera lo scrutinio di ammissibilità demandato a questa Corte.
3.– La questione è fondata, nei termini e per i motivi di séguito esposti.
4.– Per l’assistenza a persona disabile il legislatore prevede, oltre alle provvidenze dei permessi e del trasferimento, disciplinate dall’art. 33 della legge n. 104 del 1992, l’istituto del congedo straordinario, circoscritto a ipotesi tassative e contraddistinto da presupposti rigorosi.
Il congedo spetta solo per l’assistenza a persona in condizioni di disabilità grave, debitamente accertata, che si ravvisa solo in presenza di una minorazione, «singola o plurima», che «abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione» (art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992).
Il legislatore predetermina i limiti temporali del congedo, che «non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa» (art. 42, comma 5-bis, del d.lgs. n. 151 del 2001), e definisce la misura del trattamento economico spettante al lavoratore.
Il congedo straordinario è retribuito con «un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento» e si configura come un periodo di sospensione del rapporto di lavoro, coperto da contribuzione figurativa. L’indennità e la contribuzione non possono superare «un importo complessivo massimo di euro 43.579,06 annui per il congedo di durata annuale», importo che è «rivalutato annualmente, a decorrere dall’anno 2011, sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati» (art. 42, comma 5-ter, primo e secondo periodo, del d.lgs. n. 151 del 2001).
La concessione di tale beneficio si accompagna a ulteriori limitazioni, che sanciscono l’irrilevanza del relativo periodo «ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto» (art. 42, comma 5-quinquies, primo periodo, del d.lgs. n. 151 del 2001).
Sul versante soggettivo, il legislatore stabilisce che il congedo straordinario, al pari dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, non possa essere riconosciuto a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona (art. 42, comma 5-bis, terzo periodo, del d.lgs. n. 151 del 2001) e delinea una precisa gerarchia dei beneficiari (art. 42, comma 5).
Il congedo spetta, in primo luogo, al coniuge convivente, che è legittimato a goderne «entro sessanta giorni della richiesta». In caso di mancanza, di decesso o di patologie invalidanti del coniuge convivente, subentrano «il padre o la madre anche adottivi». La mancanza, il decesso o le patologie invalidanti dei genitori conferiscono a uno dei figli conviventi il diritto di richiedere il congedo straordinario, che è poi riconosciuto in favore di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi quando anche i figli conviventi manchino, siano deceduti o soffrano di patologie invalidanti.
Con la sentenza n. 203 del 2013, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non annoverava tra i beneficiari del congedo straordinario anche i parenti o gli affini entro il terzo grado conviventi, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione censurata.
5.– Dapprima riconosciuto ai soli genitori e, in caso di loro scomparsa, ai fratelli o alle sorelle conviventi con la persona in condizioni di disabilità grave in atto da almeno cinque anni e che abbiano titolo a fruire dei permessi retribuiti di cui all’art. 33 della legge n. 104 del 1992 (art. 80, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001»), il congedo straordinario ha visto progressivamente estendersi l’àmbito di applicazione, per impulso del legislatore e della giurisprudenza di questa Corte.
Con l’introduzione dell’art. 3, comma 106, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)», il legislatore ha svincolato il beneficio dal presupposto della permanenza da almeno cinque anni della situazione di disabilità grave.
Questa Corte, nel sindacare la legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, ha gradualmente ampliato la platea dei beneficiari e vi ha incluso dapprima i fratelli o le sorelle conviventi con il disabile, anche nell’ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio perché a loro volta inabili (sentenza n. 233 del 2005), e successivamente, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti, il coniuge convivente (sentenza n. 158 del 2007) e, nell’ipotesi di assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura del disabile, il figlio convivente (sentenza n. 19 del 2009).
Con il decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119 (Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi), il legislatore ha recepito le indicazioni offerte dalle pronunce citate e ha innovato i tratti distintivi dell’istituto, originariamente «concepito come strumento di tutela rafforzata della maternità in caso di figli portatori di handicap grave» (sentenza n. 203 del 2013, punto 3.4. del Considerato in diritto). Anche in conseguenza dell’estensione del novero dei beneficiari, il congedo straordinario ha finito così con l’assumere una portata via via più ampia, in armonia con l’esigenza di salvaguardare «la cura del disabile nell’àmbito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene» e così di «tutelarne nel modo più efficace la salute, di preservarne la continuità delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione» (sentenza n. 158 del 2018, punto 7.2. del Considerato in diritto).
Il congedo straordinario, riconducibile agli «interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie» (sentenze n. 158 del 2007, punto 2.3. del Considerato in diritto, e n. 233 del 2005, punto 2.3. del Considerato in diritto), ne avvalora e ne incentiva il ruolo primario nell’assistenza al disabile e valorizza quelle «espressioni di solidarietà esistenti nel tessuto sociale e, in particolare, in ambito familiare, conformemente alla lettera e allo spirito della Costituzione, a partire dai principi di solidarietà e di sussidiarietà di cui agli artt. 2 e 118, quarto comma, Cost.» (sentenza n. 203 del 2013, punto 3.4. del Considerato in diritto).
Il diritto del disabile di «ricevere assistenza nell’àmbito della sua comunità di vita» (sentenza n. 213 del 2016, punto 3.4. del Considerato in diritto), inscindibilmente connesso con il diritto alla salute e a una integrazione effettiva, rappresenta il fulcro delle tutele apprestate dal legislatore e finalizzate a rimuovere gli ostacoli suscettibili di impedire il pieno sviluppo della persona umana.
Nella disciplina di sostegno alle famiglie che si prendono cura del disabile convergono non soltanto i valori della solidarietà familiare, ma anche «un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale» e impongono l’interrelazione e l’integrazione «tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela» (sentenza n. 215 del 1987, punto 6. del Considerato in diritto).
Sono coerenti con il descritto disegno costituzionale anche la Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30, che garantisce al disabile «l’effettivo esercizio del diritto all’autonomia, all’integrazione sociale ed alla partecipazione alla vita della comunità» (art. 15), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che tutela «il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità» (art. 26) e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata con legge 3 marzo 2009, n. 18, che, nel preambolo (punto x), prescrive di assicurare alle famiglie, «nucleo naturale e fondamentale della società», la protezione e l’assistenza indispensabili per «contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità».
Nell’apprestare le misure necessarie a rendere effettivo il godimento di tali diritti e a contemperare tutti gli interessi costituzionali rilevanti, la discrezionalità del legislatore incontra dunque un limite invalicabile nel «rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati» (sentenza n. 251 del 2008, punto 16. del Considerato in diritto).
6.– È alla luce di questi principi, enunciati dalla giurisprudenza costante di questa Corte, che occorre scrutinare la legittimità costituzionale della disposizione censurata.
6.1.– Nell’estendere il congedo straordinario oltre l’originaria cerchia dei genitori, il legislatore ha attribuito rilievo esclusivo alla preesistente convivenza con il disabile, al fine di salvaguardare quella continuità di relazioni affettive e di assistenza che trae origine da una convivenza già in atto. La convivenza non si esaurisce in un dato meramente formale e anagrafico, ma esprime, nella quotidiana condivisione dei bisogni e del percorso di vita, una relazione di affetto e di cura.
Tale presupposto, ispirato a una finalità di preminente tutela del disabile, rischia nondimeno, per una sorta di eterogenesi dei fini, di pregiudicarlo, quando manchino i familiari conviventi indicati in via prioritaria dalla legge e vi sia solo un figlio, all’origine non convivente, pronto a impegnarsi per prestare la necessaria assistenza.
In questa specifica circostanza, l’ancoraggio esclusivo al criterio della convivenza finisce con il vanificare la finalità del congedo straordinario. Quest’ultimo mira a colmare le lacune di tutela e a far fronte «alle emergenti situazioni di bisogno e alla crescente richiesta di cura che origina, tra l’altro, dai cambiamenti demografici in atto», in particolare, a «quelle situazioni di disabilità che si possono verificare in dipendenza di eventi successivi alla nascita o in esito a malattie di natura progressiva o, ancora, a causa del naturale decorso del tempo» (sentenza n. 203 del 2013, punto 3.4. del Considerato in diritto).
Un criterio selettivo così congegnato compromette il diritto del disabile di ricevere la cura necessaria dentro la famiglia, proprio quando si venga a creare una tale lacuna di tutela e il disabile possa confidare – come extrema ratio – soltanto sull’assistenza assicurata da un figlio ancora non convivente al momento della richiesta di congedo.
Tali situazioni sono ugualmente meritevoli di adeguata protezione, poiché riflettono i mutamenti intervenuti nei rapporti personali e le trasformazioni che investono la famiglia, non sempre tenuta insieme da un rapporto di prossimità quotidiana, ma non per questo meno solida nel suo impianto solidaristico. Può dunque accadere che la convivenza si ristabilisca in occasione di eventi che richiedono la vicinanza – in questo caso fra padre e figlio – quale presupposto per elargire la cura al disabile. Il ricomporsi del nucleo familiare si caratterizza in questi casi per un ancor più accentuato vincolo affettivo.
Il requisito della convivenza ex ante, inteso come criterio prioritario per l’identificazione dei beneficiari del congedo, si rivela idoneo a garantire, in linea tendenziale, il miglior interesse del disabile. Tale presupposto, tuttavia, non può assurgere a criterio indefettibile ed esclusivo, così da precludere al figlio, che intende convivere ex post, di adempiere in via sussidiaria e residuale i doveri di cura e di assistenza, anche quando nessun altro familiare convivente, pur di grado più lontano, possa farsene carico.
Tale preclusione, in contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 32 Cost., sacrifica in maniera irragionevole e sproporzionata l’effettività dell’assistenza e dell’integrazione del disabile nell’àmbito della famiglia, tutelata dal legislatore mediante una disciplina ispirata a presupposti rigorosi e contraddistinta da obblighi stringenti.
6.2.– Il figlio che abbia conseguito il congedo straordinario ha difatti l’obbligo di instaurare una convivenza che garantisca al genitore disabile un’assistenza permanente e continuativa.
7.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non annovera tra i beneficiari del congedo straordinario ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.
Restano assorbite le ulteriori censure prospettate dal rimettente in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’arbitraria discriminazione dei lavoratori, censurata anche per violazione degli artt. 4 e 35 Cost., e dell’ingiustificata disparità di trattamento tra chi reclami il beneficio dei permessi riconosciuti dall’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 e chi richieda il congedo straordinario.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta del congedo, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Sentenza 158 del 23 maggio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Maternita' e infanzia - Indennita' giornaliera di maternita' -
Condizioni - Intervallo di sessanta giorni tra la sospensione del
rapporto di lavoro e l'inizio del periodo di congedo di maternita'
- Deroghe - Assenza per congedo straordinario di cui la lavoratrice
gestante abbia fruito per l'assistenza al coniuge convivente o a un
figlio, portatori di handicap in situazione di gravita' accertata.
- Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge
8 marzo 2000, n. 53), art. 24, comma 3.
-
(GU n.29 del 18-7-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 24 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), promossi dal Tribunale ordinario di Torino e dal
Tribunale ordinario di Trento, entrambi in funzione di giudice del
lavoro, con ordinanze del 12 aprile e del 16 ottobre 2017, iscritte
rispettivamente al n. 130 del registro ordinanze 2017 e al n. 47 del
registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2017 e n. 11, prima
serie speciale, dell'anno 2018.
Visto l'atto di costituzione di E.T.R. F.;
udito nella udienza pubblica del 22 maggio e nella camera di
consiglio del 23 maggio 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
udito l'avvocato Margherita Giannico per E.T.R. F.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 12 aprile 2017, iscritta al n. 130 del
registro ordinanze 2017, il Tribunale ordinario di Torino, in
funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3, 31, secondo comma, 37, primo comma, e 117, primo comma,
della Costituzione, in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12
dicembre 2007, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 24,
commi 2 e seguenti, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151
(Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e
sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo
15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede
che il trattamento di maternita' sia erogato anche alla lavoratrice
che abbia fruito di congedo ex art. 42, comma 5, d.lgs. 151/2001 e
che al momento della richiesta non abbia ripreso a lavorare da piu'
di 60 giorni».
1.1.- Il rimettente espone di dover decidere sul ricorso di una
lavoratrice, beneficiaria da oltre un anno, a causa della necessita'
di assistere un coniuge gravemente disabile, del congedo
straordinario retribuito previsto dall'art. 42, comma 5, d.lgs. n.
151 del 2001, e interdetta in anticipo dal lavoro, a decorrere dal 1°
luglio 2014, a causa di «gravi complicanze nella gestazione».
La ricorrente nel giudizio principale ha chiesto di condannare
l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a corrispondere
«il trattamento economico di maternita' per l'intera durata del
congedo di maternita', compreso il periodo di interdizione
anticipata, dal 1° luglio 2014 al 6 aprile 2015». Tale trattamento le
sarebbe stato originariamente negato sul presupposto che
l'interdizione anticipata del lavoro per gravidanza a rischio era
«avvenuta senza effettiva ripresa dell'attivita' lavorativa da parte
della ricorrente».
1.2.- In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta che la
disposizione censurata impedisce di riconoscere l'indennita' di
maternita' alla parte ricorrente, «in ragione della sua pregressa
assenza dal lavoro per piu' di 60 giorni».
All'inizio della gravidanza la ricorrente beneficiava da piu' di
sessanta giorni del congedo straordinario di cui all'art. 42, comma
5, d.lgs. n. 151 del 2001. Per questa specifica ipotesi di
sospensione del rapporto di lavoro la legge non prevede che sia
comunque corrisposto il trattamento di maternita', come nelle altre
fattispecie tassativamente previste dall'art. 24 d.lgs. n. 151 del
2001.
1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il
giudice a quo muove dalla premessa che l'indennita' di maternita'
miri a tutelare la salute della donna e del nascituro e a evitare che
la lavoratrice possa essere pregiudicata a causa degli impegni
connessi alla cura del bambino.
Per effetto della disposizione censurata, la lavoratrice in
gravidanza sarebbe costretta a sacrificare l'assistenza del coniuge
disabile per riprendere il rapporto di lavoro prima dell'inizio del
periodo di astensione obbligatoria e rischierebbe di perdere il
diritto all'indennita' di maternita' quando le «complicanze della
gestazione non consentano la ripresa del servizio al termine di un
congedo straordinario».
Tale disciplina sarebbe lesiva, per un verso, del «diritto del
disabile di ricevere assistenza all'interno del proprio nucleo
familiare» e, per altro verso, del «diritto della lavoratrice di
prestare assistenza al proprio coniuge disabile», scegliendo
liberamente il momento in cui diventare madre.
In particolare, nel negare l'indennita' di maternita' quando il
rapporto di lavoro sia sospeso a causa della necessita' di assistere
il coniuge disabile, la disciplina censurata pregiudicherebbe la
speciale protezione della maternita', sancita dagli artt. 31 e 37
Cost.
Il rimettente assume, inoltre, che la disposizione in esame
contrasti con «il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3
Cost.», in quanto nega l'indennita' di maternita' alla lavoratrice
che non sia in servizio da oltre sessanta giorni per la necessita' di
assistere il coniuge disabile e determina una disparita' di
trattamento priva di «ogni giustificazione razionale» tra tale
fattispecie, che non sarebbe «meritevole di una minor tutela», e le
ipotesi di «assenze dovute a malattia, infortunio sul lavoro, congedo
parentale o congedo per la malattia del figlio fruito per una
precedente maternita' o per accudire minori in affidamento, della
mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo
parziale di tipo verticale, della collocazione in cassa
integrazione». Nelle fattispecie da ultimo indicate, la legge prevede
che l'indennita' di maternita' sia corrisposta anche alla lavoratrice
assente dal servizio da piu' di sessanta giorni.
Il giudice a quo ravvisa anche la violazione dell'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE, che
enunciano «il principio di uguaglianza ed il divieto di
discriminazioni e riconoscono il diritto ad un congedo di maternita'
retribuito ed il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza
sociale in caso di maternita'». Il diniego dell'indennita' di
maternita', «dovuto alla duplice condizione della ricorrente,
gestante con gravidanza a rischio e parente di un disabile bisognoso
di cure», integrerebbe, difatti, una discriminazione a causa del
sesso, «nella specifica declinazione della gravidanza/maternita' come
espressamente enunciato dall'art. 2, comma 2, lett. c della Direttiva
2006/54 e trasposto nell'ordinamento all'art. 2 bis del d.lgs. n.
198/06», e a causa della disabilita', in contrasto con le previsioni
«della direttiva 2000/78, attuata col d.lgs. n. 216/03», e in
particolare con «il divieto di discriminazione fondato
sull'handicap», che si applica non solo al disabile, ma anche a chi
gli presta assistenza.
Il rimettente, in ragione della tassativita' delle ipotesi in cui
il trattamento di maternita' e' corrisposto anche a prescindere da
una sospensione del rapporto di lavoro per un periodo superiore a
sessanta giorni, reputa impraticabile l'interpretazione adeguatrice e
ravvisa la necessita' di investire la Corte costituzionale per la
soluzione del dubbio di costituzionalita'.
Questa necessita' non potrebbe dirsi superata dal fatto che il
conflitto tra norme interne e norme dell'Unione europea di diretta
applicazione possa essere risolto disapplicando la norma interna
incompatibile. Ad avviso del rimettente, «il conflitto della norma
interna con i principi della Costituzione riconosciuti anche dal
diritto euro unitario puo' essere risolto solo attraverso un espresso
sindacato di legittimita' sull'atto legislativo ordinario da parte
dell'Organo competente», e non gia' attraverso la disapplicazione
delle norme di rango legislativo in ipotesi contrastanti con i
precetti costituzionali.
2.- Con atto depositato il 24 ottobre 2017, si e' costituita
E.T.R. F., chiedendo di accogliere la questione di legittimita'
costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino.
Il trattamento economico di maternita', al pari del congedo di
maternita' e del divieto di licenziamento, attuerebbe la speciale
protezione che l'art. 37 Cost. assicura alla madre lavoratrice e al
bambino, e il principio di eguaglianza sostanziale presidiato
dall'art. 3, secondo comma, Cost.
Il sostegno economico alla lavoratrice madre perseguirebbe
l'obiettivo di tutelare la salute della donna e del nascituro e di
salvaguardare la liberta' della lavoratrice di essere madre, senza
limitazioni o condizionamenti derivanti dalla prospettiva della
perdita del reddito lavorativo.
Il congedo straordinario regolato dall'art. 42 d.lgs. n. 151 del
2001 adempirebbe alla funzione di tutelare la salute psico-fisica del
disabile e di promuoverne l'integrazione all'interno della famiglia,
che svolge un fondamentale ruolo di assistenza. Tale fattispecie di
congedo straordinario meriterebbe, ai fini del trattamento economico
di maternita', la medesima tutela riconosciuta nelle altre ipotesi,
in cui la legge concede l'indennita' di maternita' anche a
lavoratrici che non siano in servizio da piu' di sessanta giorni.
La disposizione censurata, nel negare l'indennita' di maternita'
alla madre lavoratrice che dapprima sia stata assente dal lavoro per
assistere il coniuge disabile e poi sia stata collocata in
interdizione anticipata dal lavoro a causa di gravi complicanze nella
gestazione, vanificherebbe la speciale protezione accordata dagli
artt. 31 e 37 Cost.
Tale disciplina sarebbe irragionevole e lesiva del principio di
non discriminazione in ragione del sesso e della disabilita',
enunciato dagli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE.
3.- Con ordinanza del 16 ottobre 2017, iscritta al n. 47 del
registro ordinanze 2018, il Tribunale ordinario di Trento, in
funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3, primo comma, 31 e 37, primo comma, Cost., questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del
2001, «nella parte in cui [...] non annovera anche il congedo
straordinario ex art. 42 co. 5 e co. 5ter d.lgs. 151/2001 (spettante
al genitore di soggetto affetto da handicap in situazione di gravita'
accertata ai sensi dell'art. 4 co. 1 L. 5.2.1992, n. 104) tra le
fattispecie di assenza o congedo o mancata prestazione lavorativa, di
cui non si tiene conto ai fini del computo dell'intervallo, tra
l'inizio dell'assenza o della sospensione o della disoccupazione e
l'inizio del periodo di congedo di maternita', di sessanta giorni, il
cui superamento preclude, ai sensi dell'art. 24 co. 2 d.lgs.
151/2001, l'attribuzione dell'indennita' giornaliera di maternita' ex
art. 22 co. 1 d.lgs. 151/2001».
3.1.- Il rimettente riferisce di dover decidere sul ricorso di
una lavoratrice che, dal 4 aprile 2016, fruisce di un congedo
straordinario per l'assistenza di un figlio in condizione di
disabilita' grave e dal maggio 2016 ha iniziato una nuova gravidanza.
La domanda di indennita' giornaliera di maternita' e' stata
respinta dall'INPS, in quanto erano trascorsi piu' di sessanta giorni
dall'inizio del congedo straordinario.
3.2.- In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che, in
virtu' della disposizione censurata, il ricorso dovrebbe essere
rigettato, in quanto, all'inizio del periodo di congedo di maternita'
(23 agosto 2016), il rapporto di lavoro era sospeso da piu' di
sessanta giorni. Gia' dal 4 aprile 2016 la parte ricorrente godeva
del congedo straordinario per assistere il figlio minore gravemente
disabile e, dal 23 agosto 2016, in forza di provvedimento
dell'azienda sanitaria, ha dovuto astenersi in anticipo dal lavoro.
Il rimettente puntualizza, sulla scorta delle affermazioni della
sentenza 24 marzo 2017, n. 7675, della Corte di cassazione, sezione
lavoro, che i periodi di assenza volontaria dal lavoro a titolo di
aspettativa, congedo o permesso senza retribuzione non sono esclusi
dal computo dei sessanta giorni che precedono l'inizio del congedo di
maternita'.
3.3.- In merito alla non manifesta infondatezza della questione
di legittimita' costituzionale, il giudice a quo muove dal
presupposto che, secondo la giurisprudenza costituzionale, il
fondamento della protezione sia ricondotto alla maternita' in quanto
tale e non piu' allo svolgimento di un'attivita' lavorativa
subordinata.
L'art. 24 d.lgs. n. 151 del 2011 prevede che non si debba tener
conto, ai fini del computo dei sessanta giorni di sospensione del
rapporto di lavoro, delle assenze dovute a malattia e a infortuni sul
lavoro, del periodo di congedo parentale fruito per una precedente
maternita', del congedo per la malattia del figlio, del periodo di
assenza per accudire minori in affidamento, del periodo di mancata
prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo
parziale di tipo verticale.
Il legislatore ha dunque recepito le indicazioni della Corte
costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 17, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204
(Tutela delle lavoratrici madri), nella parte in cui non escludeva
dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all'inizio
del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro l'assenza
facoltativa non retribuita per una precedente maternita' (si menziona
la sentenza n. 106 del 1980) e il periodo di assenza per accudire
minori affidati in preadozione (il richiamo e' alla sentenza n. 332
del 1988).
Per altro verso, il legislatore ha scelto di escludere dal
computo dei sessanta giorni anche il congedo per la malattia del
figlio e l'assenza prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale
di tipo verticale.
Ad avviso del rimettente, l'assetto delineato dal legislatore si
pone in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto, senza alcuna
giustificazione ragionevole, pur trattandosi di situazioni
«espressive di esigenze di tutela assai simili», annovera il congedo
per la malattia del figlio ex art. 47 d.lgs. n. 151 del 2001 ed
esclude, per contro, il congedo straordinario che spetta al genitore
di un figlio con handicap in situazione di gravita' accertata «tra le
fattispecie di assenza o congedo o mancata prestazione lavorativa, di
cui non si tiene conto ai fini del computo dell'intervallo, tra
l'inizio della assenza o della sospensione o della disoccupazione e
l'inizio del periodo del congedo di maternita', di sessanta giorni,
il cui superamento preclude, ai sensi dell'art. 24 co. 2 d.lgs.
151/2001, l'attribuzione dell'indennita' giornaliera di maternita' ex
art. 22 co. 1 d.lgs. 151/2001».
Sarebbero violati anche l'art. 31 e l'art. 37, primo comma,
Cost., in quanto la disposizione censurata, nell'escludere dal
godimento dell'indennita' di maternita' la donna che da piu' di
sessanta giorni benefici del congedo straordinario per assistere un
figlio gravemente disabile, contrasterebbe con i principi di tutela
della maternita' e comprometterebbe la speciale protezione della
madre e del bambino, che l'istituto dell'indennita' di maternita'
concorre a garantire.
4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non ha spiegato
intervento.
5.- All'udienza del 22 maggio 2018, E.T.R. F., unica parte
costituita, ha ribadito le conclusioni rassegnate nell'atto di
costituzione.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Torino e il Tribunale ordinario di
Trento, entrambi in funzione di giudice del lavoro, dubitano della
legittimita' costituzionale dell'art. 24 del decreto legislativo 26
marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in
materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a
norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte
in cui non annovera il congedo previsto dall'art. 42, comma 5, d.lgs.
n. 151 del 2001 per l'assistenza, rispettivamente, al coniuge
convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di
gravita' accertata ai sensi dell'art. 4, comma 1, della legge 5
febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione
sociale e i diritti delle persone handicappate), tra i periodi di cui
non si tiene conto ai fini del computo di quell'arco temporale di
sessanta giorni tra l'inizio della sospensione o dell'assenza e
l'inizio del periodo di congedo di maternita', superato il quale
l'attribuzione dell'indennita' di maternita' risulta preclusa.
Entrambi i rimettenti, dopo aver posto in risalto la specifica
funzione dell'indennita' di maternita', volta a tutelare la salute
della donna e del nascituro e a evitare ogni pregiudizio connesso
alla libera scelta della maternita', argomentano che il diniego
dell'indennita' di maternita', quando siano trascorsi piu' di
sessanta giorni tra l'inizio della fruizione del congedo
straordinario per l'assistenza al coniuge o a un figlio, portatori di
handicap in situazione di gravita' accertata, e l'inizio del periodo
di congedo di maternita', vanifica la speciale protezione della
maternita' garantita dalla Carta fondamentale (artt. 31 e 37 della
Costituzione).
Il Tribunale di Torino, in particolare, rileva che la disciplina
censurata «pregiudica il diritto del disabile di ricevere assistenza
all'interno del proprio nucleo familiare ed il diritto della
lavoratrice di prestare assistenza al proprio coniuge disabile
(laddove impone a quest'ultima, qualora insorga uno stato di
gravidanza, di sacrificare anzitempo tale assistenza per riprendere
il rapporto di lavoro prima dell'astensione obbligatoria)» e, in pari
tempo, sacrifica «la liberta' della lavoratrice di scegliere quando
diventare madre», esponendola al rischio di perdere il diritto
all'indennita' di maternita' quando le complicazioni della gestazione
impediscano «la ripresa del servizio al termine del congedo
straordinario».
La disciplina censurata sarebbe lesiva, altresi', dell'art. 3
Cost., in quanto, in difetto di ogni ragionevole giustificazione,
riserverebbe un trattamento deteriore alla lavoratrice costretta ad
assentarsi per assistere il coniuge o un figlio disabili.
Il Tribunale di Torino, in particolare, denuncia la violazione
del «principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.». La
lavoratrice che si dedica all'assistenza al coniuge disabile non
sarebbe «meritevole di una minor tutela» rispetto alla lavoratrice
assente per «malattia, infortunio sul lavoro, congedo parentale o
congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente
maternita' o per accudire minori in affidamento» o rispetto
all'ipotesi «della mancata prestazione lavorativa in caso di
contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, della
collocazione in cassa integrazione».
Il Tribunale di Trento ravvisa il contrasto con il «principio di
eguaglianza formale ex art. 3 co. 1 Cost.» e indica come specifico
termine di raffronto la fattispecie «della lavoratrice madre che si
trova in congedo ex art. 47 segg. d.lgs. 151/2001 per assistere il
figlio ammalato» e percio' beneficia dell'esclusione di tale congedo
dal computo dei sessanta giorni previsti dall'art. 24, comma 2,
d.lgs. n. 151 del 2001.
Il Tribunale di Torino prospetta anche il contrasto con l'art.
117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12
dicembre 2007. Il diniego dell'indennita' di maternita', «dovuto alla
duplice condizione della ricorrente, gestante con gravidanza a
rischio e parente di un disabile bisognoso di cure», contravverrebbe
al divieto di discriminazione con riguardo al sesso, «nella specifica
declinazione della gravidanza/maternita'», e alla disabilita',
divieto che tutela anche chi presti al disabile la necessaria
assistenza.
2.- Le due ordinanze di rimessione sollevano questioni in larga
parte coincidenti, relative alla disciplina del computo dei sessanta
giorni tra l'inizio del congedo straordinario e l'inizio del periodo
di congedo di maternita'. I relativi giudizi, pertanto, vanno riuniti
per essere definiti con un'unica decisione.
3.- Le questioni sono fondate, nei termini e per i motivi di
seguito esposti.
4.- Il testo unico del 2001 appresta una disciplina articolata
delle diverse ipotesi di sospensione e di interruzione dell'attivita'
lavorativa, anteriori all'inizio del periodo di astensione
obbligatoria, e delle fattispecie in cui l'indennita' di maternita'
e' concessa anche quando sia trascorso un periodo superiore a
sessanta giorni tra l'assenza e la sospensione e l'inizio
dell'astensione obbligatoria. Su tale disciplina, che e' utile
ripercorrere nella sua evoluzione diacronica, si e' innestata la
giurisprudenza di questa Corte, come si vedra' in seguito.
La legge, in particolare, accorda l'indennita' giornaliera di
maternita' anche alle «lavoratrici gestanti che si trovino,
all'inizio del periodo di congedo di maternita', sospese, assenti dal
lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate», purche' «tra
l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e
quello di detto periodo non siano decorsi piu' di sessanta giorni»
(art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001).
L'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 esclude dal computo
dei sessanta giorni le «assenze dovute a malattia o ad infortunio sul
lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative
assicurazioni sociali», il «periodo di congedo parentale o di congedo
per la malattia del figlio fruito per una precedente maternita'», il
«periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento» e il
«periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di
lavoro a tempo parziale di tipo verticale».
Una disciplina peculiare e' dettata a favore della lavoratrice
che, all'inizio del periodo di congedo di maternita', fruisca
dell'indennita' di disoccupazione (art. 24, commi 4 e 5, d.lgs. n.
151 del 2001), del trattamento di integrazione salariale a carico
della cassa integrazione guadagni (art. 24, comma 6, d.lgs. n. 151
del 2001) o dell'indennita' di mobilita' (art. 24, comma 7, d.lgs. n.
151 del 2001).
La normativa vigente ha riprodotto le previsioni dell'art. 17
della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici
madri), che gia' menzionava le assenze dovute a malattia e infortunio
e disciplinava le fattispecie del godimento dell'indennita' di
disoccupazione e del trattamento di integrazione salariale a carico
della cassa integrazione guadagni, recependo anche gli interventi di
questa Corte, che hanno via via esteso l'ambito applicativo del
beneficio dell'indennita' di maternita'.
L'art. 17, secondo comma, legge n. 1204 del 1971 e' stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo dapprima nella parte in cui
non escludeva - dal computo dei sessanta giorni immediatamente
antecedenti all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal
lavoro - l'assenza facoltativa non retribuita di cui la lavoratrice
gestante avesse goduto in seguito a una precedente maternita'
(sentenza n. 106 del 1980) e il periodo di assenza per accudire
minori affidatile in preadozione (sentenza n. 332 del 1988).
La declaratoria di illegittimita' costituzionale ha poi investito
lo stesso art. 17, secondo comma, nella parte cui negava l'indennita'
giornaliera di maternita' alle lavoratrici con contratto di lavoro a
tempo parziale di tipo verticale su base annua, anche in relazione ai
previsti successivi periodi di ripresa dell'attivita' lavorativa,
allorche' il periodo di astensione obbligatoria avesse avuto inizio
piu' di sessanta giorni dopo la cessazione della precedente fase di
lavoro (sentenza n. 132 del 1991).
5.- La disciplina censurata si colloca, come gia' anticipato,
nell'evoluzione normativa, ripercorsa nei suoi tratti salienti.
I giudici a quibus muovono dalla premessa che l'elencazione
dell'art. 24 d.lgs. n. 151 del 2001 sia tassativa e non possa essere
integrata attraverso un'interpretazione adeguatrice. La legge, in
particolare, non contemplerebbe il congedo straordinario che l'art.
42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 prevede a favore del coniuge
convivente e della madre per l'assistenza a «soggetto con handicap in
situazione di gravita' accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1,
della legge 5 febbraio 1992, n. 104».
I rimettenti, chiamati a decidere le controversie promosse da
lavoratrici gestanti che prestavano assistenza l'una al coniuge e
l'altra al figlio disabile, chiedono di ampliare il catalogo delle
deroghe previste dall'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 a tali
specifiche ipotesi. Queste precise richieste delimitano il tema del
decidere devoluto all'esame di questa Corte.
Il dubbio di costituzionalita' e' originato da una plausibile
premessa ermeneutica.
La giurisprudenza di legittimita' e' consolidata nell'attribuire
carattere tassativo alle deroghe delineate dall'art. 24, comma 3,
d.lgs. n. 151 del 2001 (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze
14 luglio 2017, n. 17524 e 24 marzo 2017, n. 7675), in coerenza con
l'orientamento di questa Corte, che riconduce alla valutazione
discrezionale del legislatore l'individuazione delle particolari
fattispecie in cui non rileva una cesura superiore a sessanta giorni
tra l'assenza della lavoratrice e la sospensione del suo rapporto di
lavoro, da un lato, e l'inizio del periodo di congedo di maternita',
dall'altro (sentenza n. 106 del 1980, punto 5. del Considerato in
diritto).
6.- Il legislatore, pur nell'ambito di tali scelte discrezionali,
si propone di apprestare una tutela effettiva e coerente con il
dettato costituzionale, che conferisce alla Repubblica il compito di
proteggere la maternita' e l'infanzia, «favorendo gli istituti
necessari a tale scopo» (art. 31, secondo comma, Cost.), e prescrive
«una speciale adeguata protezione» (art. 37, primo comma, Cost.) per
la madre e il bambino, accomunati in una prospettiva di tutela
unitaria, in armonia con l'unicita' della relazione esistenziale che
li lega (sentenza n. 205 del 2015, punto 4. del Considerato in
diritto).
La Carta fondamentale impone di proteggere la salute fisica della
donna e del bambino e tutto il complesso rapporto che si instaura tra
madre e figlio, con le «esigenze di carattere relazionale ed
affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalita' del
bambino» (sentenze n. 61 del 1991, punto 4. del Considerato in
diritto, e n. 1 del 1987, punto 6. del Considerato in diritto), e di
«impedire che possano, dalla maternita' e dagli impegni connessi alla
cura del bambino, derivare conseguenze negative e discriminatorie»
(sentenza n. 423 del 1995, punto 4. del Considerato in diritto).
Nel definire i presupposti dell'indennita' di maternita',
«crocevia di molteplici valori costituzionalmente rilevanti»
(sentenza n. 205 del 2015, punto 4. del Considerato in diritto), le
scelte legislative, pur diversamente modulate con riferimento alle
peculiari situazioni considerate, devono salvaguardare il fondamento
della tutela costituzionale della maternita', che risiede nella
maternita' in quanto tale (sentenza n. 361 del 2000, punto 4.1. del
Considerato in diritto) e vieta «una ingiustificata esclusione di
ogni forma di tutela» (sentenza n. 405 del 2001, punto 2.1. del
Considerato in diritto)
7.- La legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 3, d.lgs.
n. 151 del 2001 deve dunque essere scrutinata alla luce dei principi
richiamati.
7.1.- La legge riconosce il diritto a percepire l'indennita' di
maternita' se si puo' ritenere, in ragione della brevita' del tempo
trascorso «tra la cessazione del lavoro e l'inizio del periodo di
astensione obbligatoria» o in ragione di altri specifici elementi,
che la lavoratrice sia «ancora inserita nel circuito del lavoro
allorquando il periodo di astensione obbligatoria ha avuto inizio»
(sentenza n. 132 del 1991, punto 2. del Considerato in diritto), o se
ricorrano esigenze preminenti di tutela, connesse a una precedente
maternita' (sentenza n. 106 del 1980) o alla cura di un minore
affidato in preadozione (sentenza n. 332 del 1988).
La disposizione censurata non annovera tra le esigenze preminenti
di tutela la necessaria assistenza del coniuge o del figlio disabili,
in forza di un congedo straordinario concesso ai sensi dell'art. 42,
comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001.
7.2.- Questa omissione e' posta al centro delle censure mosse dai
rimettenti.
Nel negare l'indennita' di maternita' alla madre che, all'inizio
del periodo di astensione obbligatoria, benefici da piu' di sessanta
giorni di un congedo straordinario per l'assistenza al coniuge o al
figlio in condizioni di grave disabilita', la disposizione censurata
sacrifica in maniera arbitraria la speciale adeguata protezione che
l'art. 37, primo comma, Cost. accorda alla madre lavoratrice e al
bambino. Quest'ultima previsione specifica e rafforza la tutela della
maternita' e dell'infanzia gia' sancita in termini generali dall'art.
31, secondo comma, Cost.
L'esclusione del congedo straordinario si rivela irragionevole
anche alla luce delle speciali previsioni dell'art. 24, comma 3,
d.lgs. n. 151 del 2001, che non comprendono nel computo dei sessanta
giorni tra l'inizio dell'assenza e l'inizio dell'astensione
obbligatoria il «periodo di congedo parentale o di congedo per la
malattia del figlio fruito per una precedente maternita'». La deroga
prevista per tali congedi si ispira a un'esigenza preminente di
tutela, cosicche' l'indennita' di maternita' e' dovuta anche quando
la discontinuita' del rapporto di lavoro superi i sessanta giorni.
Nelle due ipotesi di congedo straordinario per assistere il
coniuge o un figlio in condizioni di grave disabilita' emergono
esigenze di tutela egualmente rilevanti.
Si tratta, infatti, di congedo straordinario subordinato a
presupposti oggettivi e temporali rigorosi, non equiparabile ad altre
assenze, giustificate da motivi personali e di famiglia, che incidono
sul computo dei sessanta giorni previsti dall'art. 24, comma 2,
d.lgs. n. 151 del 2001.
La giurisprudenza di questa Corte ha contribuito a scandire
l'evoluzione del beneficio in esame e ad ampliarne l'ambito
applicativo. Dapprima esteso ad uno dei fratelli o delle sorelle
conviventi con soggetto con handicap in situazione di gravita'
accertata, i cui genitori siano totalmente inabili (sentenza n. 233
del 2005), il congedo straordinario ha successivamente riguardato, in
via prioritaria, il coniuge convivente (sentenza n. 158 del 2007) e,
in difetto di altri soggetti idonei, il figlio convivente (sentenza
n. 19 del 2009) e il parente o l'affine entro il terzo grado
convivente (sentenza n. 203 del 2013).
L'estensione dei beneficiari del congedo straordinario risponde
all'esigenza di garantire la cura del disabile nell'ambito della
famiglia e della comunita' di vita cui appartiene, allo scopo di
tutelarne nel modo piu' efficace la salute, di preservarne la
continuita' delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione.
L'assetto prefigurato dal legislatore pregiudica la madre che si
faccia carico anche dell'assistenza al coniuge o al figlio disabili,
e attua un bilanciamento irragionevole nei confronti di due principi
di primario rilievo costituzionale, la tutela della maternita' e la
tutela del disabile. Con l'imporre una scelta tra l'assistenza al
disabile e la ripresa dell'attivita' lavorativa per godere delle
provvidenze legate alla maternita', la disciplina censurata determina
l'indebito sacrificio dell'una o dell'altra tutela. In tal modo essa
entra in contrasto con il disegno costituzionale che tende a
ravvicinare le due sfere di tutela e a farle convergere, nell'alveo
della solidarieta' familiare, oltre che nelle altre formazioni
sociali.
La tutela della maternita' e la tutela del disabile, difatti, pur
con le peculiarita' che le contraddistinguono, non sono antitetiche,
proprio perche' perseguono l'obiettivo comune di rimuovere gli
ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art.
3, secondo comma, Cost.). Per questi particolari vincoli di
solidarieta', connessi alla cura del coniuge o del figlio disabili
con handicap in condizione di gravita' accertata, si impone
l'estensione della deroga sancita dall'art. 24, comma 3, d.lgs. n.
151 del 2001.
8.- Dalle considerazioni svolte, discende la fondatezza delle
proposte questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento
agli artt. 3, 31 e 37 Cost.
Si deve, pertanto, dichiarare l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non
prevede che, ai fini del computo dei sessanta giorni previsti
dall'art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001, non si tenga conto del
periodo di congedo straordinario previsto dall'art. 42, comma 5,
d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito
per l'assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di
handicap in situazione di gravita' accertata ai sensi dell'art. 4,
comma 1, legge n. 104 del 1992.
Restano assorbite le ulteriori censure del Tribunale di Torino,
incentrate sulla violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della CDFUE.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 3,
del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non esclude dal computo di
sessanta giorni immediatamente antecedenti all'inizio del periodo di
astensione obbligatoria dal lavoro il periodo di congedo
straordinario previsto dall'art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001,
di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l'assistenza al
coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione
di gravita' accertata ai sensi dell'art. 4, comma 1, della legge 5
febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione
sociale e i diritti delle persone handicappate).
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA