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Messaggio 30 del 24 giugno 2003
Oggetto: Chiarimenti metodologici medico-legali nella valutazione della malattia indennizzabile in caso di chirurgia estetica.
In merito alla vessata questio della chirurgia a scopo “estetico”, alla scrivente Area Malattia e Maternità di questo Coordinamento Generale Medico Legale sono giunte, da parte dei Centri Medico Legali di Sede, segnalazioni di crescenti difficoltà in ordine ai comportamenti da adottare quando nel certificato di malattia sia suggestiva la natura meramente estetica dell’intervento chirurgico proposto in diagnosi (per i quali, come noto, non sussiste il diritto alla corresponsione dell’indennità di malattia).
Si forniscono, per tale motivo, alcune indicazioni di tipo metodologico utili per la corretta gestione della suddetta problematica.
Innanzitutto, in tema di assicurazione sociale di malattia, sul piano lessicale appare improprio parlare di danno estetico – come è apparso su qualche recente parere giunto all’osservazione di questo Coordinamento - appartenendo tale fattispecie all’ambito civilistico di risarcimento del damnum iniura datum.
Nel caso di che trattasi, dunque, si verte in tema d’indennizzabilità di un atto medico preveduto e preordinato a fini voluttuari, tuttavia, idoneo ad indurre nel soggetto incapacità temporanea al lavoro specifico.
Ad invarianza della norma - che, si ricorda, non prevede l’indennizzabilità per tale fattispecie preordinata d’incapacità al lavoro - lo scrivente Coordinamento Centrale ritiene opportuno fare un netto distinguo fra evento non indennizzabile - in quanto ricadente nella fattispecie dell’atto chirurgico auto-procurato e non finalizzato al reintegro della salute - e quello, sempre a scopo essenzialmente estetico, ma nondimeno indennizzabile.
Infatti, nel primo caso, il ricorso alla chirurgia assume la connotazione del mero fatto migliorativo del proprio aspetto, rivolto al raggiungimento di un prototipo di “bello soggettivo” assolutamente discrezionale e privo di significative turbative a carattere psico-dinamico del vissuto del sé e della propria immagine corporea.
Un intervento di chirurgia plastica diventa per contro “malattia indennizzabile” se va ad emendare un danno dismorfo-funzionale realizzatosi a seguito di traumi ovvero di eventi di malattia che abbiano residuato in esito permanente mutilazioni, alterazioni fisiognomiche ovvero cicatrici importanti – estese, retraenti o cheloidi – indipendentemente dalla loro visibilità in parti scoperte.
Infatti, si tratterebbe di un’alterazione in grado di indurre - oltre che disfunzione locoregionale - anche soggezione psicologica rispetto al ricordo dell’evento causale che ne determinò la formazione.
Sarebbe la sofferenza psichica non già l’intervento, ponendosi al medesimo antecedente, a generare l’incapacità lavorativa: di talché, anche per l’intervento è ammissibile l’indennizzabilità, costituendo una sorta di emendamento terapeutico al disappointment psicologico.
Tale aspetto - relativo a quelle componenti psichiche di tipo depressivo derivanti da inestetismi fisiognomici - spesso viene, invece, invocato surrettiziamente per sostanziare una giustificazione al ricorso agli interventi di chirurgia estetica attribuendone scopo terapeutico.
Il tentativo di legittimare il trattamento estetico, in quanto necessario per risolvere stati patologici psichiatrici derivanti dalla insoddisfazione esistenziale causata dalla presenza di difetti fisici, deve essere valutato di volta in volta: infatti, se da un lato può essere ammessa ex tunc l’esistenza di un disturbo psichico conseguente ad alterazioni fisiognomiche deturpanti, dall’altro, nell’ambito della normale variabilità estetica, il dato patologico psichiatrico deve essere pienamente suffragato da certificazioni specialistiche che ne attestino l’esistenza e la gravità.
Diversamente, esso si configura soltanto come un semplice desiderio di miglioramento della propria immagine, del tutto legittimo ma privo di qualsivoglia carattere di rilevanza assicurativo-previdenziale.
Certamente, il fenomeno del ricorso ad interventi chirurgici con intenti estetici ha avuto negli ultimi anni un notevole incremento quantitativo, in risposta ad una aumentata e diffusa proposta di nuovi archetipi sociali di immagine corporea cui adeguarsi.
Gli elevati costi economici di tale chirurgia hanno determinato, talora, anche il ricorso ad una serie di éscamotages per renderla più facilmente accessibile ad un sempre più vasto pubblico.
La soluzione spesso adottata per ridurre complessivamente gli oneri sul paziente è quella di celare la reale finalità della prestazione chirurgica dietro indicazioni diagnostiche riferite ad una vera e propria patologia organica, più o meno immediatamente correlabile a quanto praticato.
In tal modo, si rende ammissibile sia l’utilizzo di strutture sanitarie pubbliche in deroga ai LEA sia l’indennizzabilità dei periodi di malattia.
Pur rimanendo indispensabile il corretto apprezzamento di ogni singolo caso attraverso l’utilizzo della comune criteriologia medico legale, appare tuttavia utile, anche ai fini di una omogeneizzazione di comportamento, analizzare schematicamente le tipologie che con maggiore frequenza ricorrono nella pratica quotidiana.
Una delle evenienze più comuni è senz’altro rappresentata dalla chirurgia della piramide nasale, nella quale facilmente il fatto squisitamente estetico viene mascherato per mezzo di diagnosi di “Rinosettoplastica nasale” o di “Deviazione del setto nasale”; riguardo a tale fattispecie, va subito sottolineato come, in realtà, nella maggior parte dei casi coesistanodeformità estetiche (gibbo, laterodeviazioni) sostenute da alterazioni della normale architettura anatomica delle strutture osteocartilaginee di sostegno proprie della piramide nasale (congenite o acquisite), con la stenosi mono/bi-laterale più o meno importante delle vie aeree: quest’ultima può determinare conseguenti alterazioni del flusso aereo nelle vie respiratorie superiori, la cui risoluzione chirurgica apporta comunque anche un miglioramento di immagine. In tali casi, va ammessa la indennizzabilità del periodo di malattia.
Particolare attenzione, invece, va posta allorché i dati anamnestici e quelli rilevabili dall’esame descrittivo dell’intervento praticato non segnalano l’esistenza di disturbi funzionali di rilevanza tale da giustificare di per se stessi il ricorso alla correzione chirurgica; in questi casi, va chiaramente segnalata la non indennizzabilità dell’evento.
Altra fattispecie di ripetuto riscontro è quella relativa alla chirurgia mammaria, nell’ambito della quale vanno immediatamente distinte le differenti situazioni rappresentate dai diversi interventi praticabili.
La Mastoplastica Additiva (eseguita per aumentare il volume mammario, attraverso l’introduzione di mezzi protesici) non pone alcun dubbio: essa è sempre eseguita per soli fini estetici e le componenti psicologiche riferite coesistenti di scarsa accettazione dell’ipotrofia mammaria non devono nella generalità delle situazioni essere considerate.
Uniche eccezioni: i rari casi di ipoplasia mammaria monolaterale e la mastoplastica post-ablativa delle mammelle.
La Mastopessi è intervento praticato per risolvere casi di ptosi mammaria di varia entità, per lo più conseguenti a fatti involutivi della ghiandola (senili, post-allattamento e da rapido dimagrimento): anche questa è situazione che, proprio perché non sostanziata da alcuna patologia organica, non può essere ammessa all’indennizzo.
Esistono situazioni in cui, tuttavia, sarebbe gravemente compromessa l’immagine del sé femminino inducendo nella persona alterazioni nella sfera timica: tali casi, sono pure identificabili perché ogni intervento estetico è iconograficamente documentato dal chirurgo plastico ed è facile apprezzare se lo statu quo ante è significativo nel determinismo dell’addotta alterazione psichica.
Va, inoltre, segnalata la possibilità di differenziare una cicatrice chirurgica di “mera natura estetica” da quella per “Asportazione di noduli mammari multipli bilaterali” o simili: nell’intervento estetico la cicatrice interessa tutto il margine periareolare, la cute compresa tra areola e solco sottomammario e parte del solco stesso; nella semplice asportazione di formazioni nodulari mammarie si osservano semplici esiti cicatriziali di tipo lineare e di modesta entità; inoltre, utile supplemento diagnostico è rappresentato anche dalla presenza o meno di un referto istologico immancabile in caso di neoformazioni mammarie.
La Mastoplastica Riduttiva (eseguita per ridurre il volume mammario) comporta residui cicatriziali pressoché sovrapponibili a quelli appena descritti; di frequente, ad essa viene attribuita valenza di intervento con caratteri di necessità terapeutica, oltre che con diagnosi simili a quelle già viste per la mastopessi, anche attraverso l’esistenza di problemi a carico del rachide cervicale e dorsale, conseguenti al peso eccessivo delle mammelle e comportanti l’obbligo prolungato ad assumere posture scorrette.
Tale condizione, però, è accettabile solo per rari casi di grave gigantomastia, della cui entità farà fede l’eventuale dato oggettivo (reperibile in cartella clinica) del peso complessivo delle masse mammarie asportate; in tal senso, si tenga conto che, come ampiamente riportato nella bibliografia in materia, gli effetti negativi sul rachide sono probabili allorché in sede operatoria si sia dovuto provvedere all’asportazione di quantità ponderali non inferiori ad 800 grammi per mammella.
Nell’ambito della chirurgia dell’addome, esiste la possibilità che interventi diagnosticati per “Laparocele” possano in realtà essere stati eseguiti con finalità estetiche volte a risolvere problemi di eccessiva adiposità e/o di rilassamento cutaneo-sottocutaneo; anche in questi casi, oltre ai dati anamnestici reperibili attraverso la cartella clinica o direttamente dall’assicurato, il riscontro obiettivo di una cicatrice chirurgica a convessità inferiore posta lungo la linea bispinoiliaca (conseguenza di una incisione cutanea “alla Pfannenstiel allargata”) e, talora, di altra cicatrice chirurgica periombelicale può indurre con buona probabilità a ritenere che la reale indicazione dell’intervento eseguito prevedesse almeno anche la finalità estetica.
Il comportamento da adottare in tali fattispecie dovrà essere legato alla valutazione del diverso “peso specifico” da attribuire in ogni singolo caso alla componente estetica rispetto a quella squisitamente organica.
Infatti, non va dimenticato che alcuni interventi di Addominoplastica possono a buon diritto essere fatti rientrare tra i presidi terapeutici attuabili per condizioni patologiche organiche, quali ad esempio le complicanze proprie dei grandi grembiuli addomino-pelvici (macerazioni e sovrainfezioni a carico delle ampie pieghe cutanee), gli esiti postoperatori della chirurgia delle gravi obesità, importanti diastasi dei retti addominali, ernie ombelicali di documentata grave entità, ecc.; in questi casi, appare senz’altro opportuno considerare come indennizzabili i periodi di malattia ad essi connessi.
Nel campo della chirurgia delle lipomatosi, va posta particolare attenzione rivolta soprattutto al fatto che diagnosi di “Lipomatosi diffusa” (o a questa similari) spesso sottende interventi chirurgici di liposuzione, i quali - fatta eccezione per la rara condizione patologica rappresentata dalla Malattia di Dercum (“lipodistrofia dolorosa”) - sono sempre da considerarsi come eseguiti per esclusivo fine estetico.
Non sussistono particolari difficoltà nel discernere, nell’ambito della chirurgia palpebrale, gli interventi effettuati per la correzione delle ptosi vere e proprie (le quali sono sostenute da patologie a carico dei muscoli elevatore ed orbicolare) che alterano persino il campo visivo, da quelli relativi alla rimozione degli eccessi cutanei e delle “borse” tipicamente di indole estetica; i precedenti anamnestici e la descrizione del tipo di intervento praticato, così come riscontrabili nella cartella clinica, sono spesso già di per se stessi dirimenti.
Riguardo le ametropie, la chirurgia refrattiva è stata oggetto di specifico quesito posto dalla Regione Veneto all’indomani della promulgazione del Dpcm del 30.11.01, con il quale sono state parzialmente escluse dai Lea (livelli essenziali di assistenza) le prestazioni di chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri.
Si precisa in proposito che tale DPCM risponde al principio di sussidiarietà fissato in sede comunitaria e si incardina in un ambito assistenziale regolato da norme, la cui emanazione è attribuita - dalla riforma del Titolo V della Costituzione, avutosi in prima battuta con la Legge Costituzionale n. 3 del 2001 - alla legislazione esclusiva delle Regioni, intese oggi come vere forme di governo.
Dunque, se è vero che i LEA non attribuiscono copertura assistenziale di parziale gratuità all’intervento di che trattasi, in quel caso, la logica è di “priorità economica”.
Non bisogna dimenticare che del pari i trattamenti fisiochinesiterapici - pur essendo a volte indispensabili al recupero di una capacità, oltre che lavorativa, anche organo-funzionale – non registrano dignità di “livello essenziale”, essendone affidata la possibile erogazione in regime convenzionale a scelte regionali di sussidiarietà.
Sicché, non è possibile né lecito esportare considerazioni che afferiscono ad altre logiche, anche di economicità, all’ambito previdenziale a tutt’oggi soggetto a legislazione statale e legato, nel concedere prestazioni economiche, al realizzarsi di un rischio assicurato.
Tanto premesso si forniscono chiarimenti tecnici riguardo a detta chirurgia la cui indennizzabilità resta legata alle medesime considerazioni precedentemente esposte.
Con il termine “chirurgia refrattiva” si descrive quella branca della chirurgia oftalmica che - nel rimodellare la superficie corneale, intesa quale prima lente naturale che la luce attraversa - si prefigge di ridurre o correggere completamente e permanentemente i principali vizi refrattivi o ametropie che altrimenti obbligherebbero all’uso di occhiali o lenti a contatto.
E’ noto che gli Occhiali costringono il pennello luminoso a numerose deviazioni poiché vengono attraversati più volte mezzi diottrici a diverso indice di rifrazione: questo limite, può avere riflessi negativi sulla pienezza della correzione diottrica del vizio refrattivo.
Le lenti a contatto risolvono molti dei problemi posti dagli occhiali soprattutto nei poteri elevati, con:
· Vantaggi: estetici, di campo visivo e di sguardo, di nitidezza di visione senza riflessi.
· Svantaggi: infezioni o opacamento corneale; intolleranze individuali assolute o temporalmente confinate nell’arco della giornata.
Dal 1 aprile 2003 al momento dell’acquisto delle lenti a contatto deve essere fornito contestualmente un breve opuscolo contenente la Guida al corretto utilizzo
La distribuzione della Guida è stata stabilita dal Decreto Ministeriale 3 febbraio 2003, pubblicato sulla GU n. 64 del 18-03-03, dove per motivi di interesse sanitario e di tutela della salute, si è intervenuti a regolamentare anche alcune norme per la vendita delle lenti a contatto (secondo quanto previsto per i dispositivi medici dall’art.20 del Decreto Legislativo 24-02-97 n. 46 e successive modificazioni).
La Guida, a cura del Ministero della salute di concerto con il Ministero delle attività produttive, contiene una serie di avvertenze, precauzioni e rischi collegati all'uso delle lenti a contatto sia quelle correttive dei difetti visivi (su misura e prodotte industrialmente) che quelle colorate ad uso estetico.
Per correggere definitivamente questi difetti visivi oggi, abbandonata la tecnica RK (Radial Keratectomy) - se le condizioni di spessore e curvatura corneali sono “utili” - spesso si ricorre o ad incisioni arcuate sulla cornea a scopo refrattivo o, con successo, al laser ad eccimeri secondo la Photo Refractive Keratectomy (PRK) - di scelta per la correzione di miopie fino a 7-8 diottrie, ed astigmatismo associati a miopia fino a 3 diottrie – (e la sua variante LASEK, basata sull’alcoolizzazione dell’epitelio che viene riposizionato e non rimosso) e la Laser in Situ Keratomileusis (LASIK) - per la correzione delle miopie fino a 12-14 diottrie, ipermetropie ed astigmatismi medio-alti.
Oggi, il laser ad eccimeri, sempre più perfezionato (ad es. laser a scansione ad inseguimento pupillare Università “La Sapienza” di Roma), si avvale (in ancora pochi centri) dell’ausilio di un aberrometro Università di Pisa che permette di effettuare un trattamento differente adattato ad ogni tipo di cornea.
Nella scelta del paziente esistono Dal sito “www.oculistanet.it”:
Criteri di esclusione assoluti:
· età del paziente inferiore ai 18-20 anni (per la variabilità della refrazione)
· difetto rifrattivo non stabile da almeno 2 anni
· Malattie autoimmuni o collagenopatie: per l'imprevedibilità dei processi di guarigione
· Cheratocono: per riduzione dello spessore corneale e astigmatismo irregolare
· Alterazioni corneali congenite (superficie corneale non omogenea)
· Spessore corneale ridotto: per le miopie medie sono da escludere i pazienti con una cornea di spessore inferiore ai 480 micron.
· Pregressa cheratite erpetica: per la ridotta sensibilità corneale e i rischi della terapia post-operatoria al cortisone.
Criteri che vanno valutati attentamente in ogni singolo paziente:
· Alcune patologie del segmento anteriore (flogosi uveali e patologie dell'angolo camerulare)
· Gravi alterazioni del film lacrimale: per ritardi di guarigione
· Ipertensione oculare o glaucoma: potrebbero aggravarsi
· Patologie retiniche e del nervo ottico
· Alterazioni congiuntivali
· Gravidanza e allattamento e terapie ormonali (le alterazioni ormonali influenzano il processo di riparazione)
· Predisposizione a cheloidi
· Diabete mellito
· Esposizione ai raggi UV (che possono influenzare i processi di guarigione)
· Portatori di pace maker (il laser, a seconda del campo magnetico generato, può interferire con il funzionamento del pace maker)
· Epilessia
· Patologie oculari nella famiglia
· Guida notturna frequente
· Sport con contatti con acqua salata o violenti
· Lavoro in ambienti polverosi o molto secchi
· Età superiore ai 45 anni (la correzione non escluderà l'uso degli occhiale per leggere)
Questa chirurgia offre un reale vantaggio solo quando gli occhiali non possono essere usati (disallineamento dell’asse interpupillare come per torcicollo congenito, scoliosi faciale, anisometropie di ragguardevole entità, alterazioni fisiognomiche post-traumatiche, congenite, demolitive post-chirurgiche, ecc.) e le lenti a contatto siano mal tollerate; peraltro, al di là del mero vezzo, nel prosieguo, chi ha affrontato l’intervento riferisce un effetto di complessivo miglioramento della visione anche rispetto alle stesse lenti a contatto.
E’ molto importante, quindi, raccogliere una dettagliata anamnesi oftalmologica e, per distinguerlo da un semplice atto estetico, è necessario che il lavoratore dimostri la reale necessità clinica dell’intervento, essendo un obbligo a suo carico – nel più generale ambito del negozio giuridico che sostanzia il rapporto di lavoro - fornire la prova giustificativa dell’interrotta prestazione lavorativa, quale dimostrazione di correttezza, buona fede e lealtà che a tale rapporto deve essere annesso.
Si rammenta che un intervento estetico non configura “malattia indennizzabile” nelle giornate dell’atto operatorio e della successiva convalescenza: va da sé che, se il nesso causale viene interrotto dal sopravvenire di complicazioni (ad es. - nel caso della chirurgia refrattiva - ritardo della riepitelizzazione, cheratite infettiva, rimaneggiamento dello stroma fino all’opacità tissulare superficiale, colliquazione corneale), che alterano il normale decorso post-chirurgico in modo del tutto imprevisto, la tutela assicurativa decorre normalmente.
Coordinatore Centrale
Area Malattia e Maternità
Dott.ssa Lia De Zorzi
Coordinatore Generale Medico Legale
Prof. Maurizio Ceccarelli Morolli